Alla scoperta dei diari di pellegrinaggio fiorentini tra XIII e XV secolo. Lo storico Franco Cardini presenta “L’Oriente dei viaggiatori” della medievista Ilaria Sabbatini, responsabile del progetto ARVO – Archivio Digitale del Volto Santo e ideatrice dello Young Historians Festival di Lucca. Il volume, edito da Textus, è una introduzione alla storia del particolare viaggio rappresentato dal pellegrinaggio e abbraccia la vita e la società tre secoli nodali e decisivi nella storia di Firenze.
L’Oriente anzitutto: ormai plurisecolare “croce e delizia” d’indagini tese tra la storia, la filologia, l’archeologia, l’antropologia e la storia del gusto e dell’estetica: un Oriente che, se da una parte ci rinvia al purtroppo abusato fantasma dello “scontro di civiltà” protagonista di tristi operazioni di abuso e di contraffazione strumentali e demagogiche della storia, da un’altra c’indirizza invece verso quella dimensione essenziale e inevitabile della cultura del cosiddetto “nostro Occidente” (altra espressione carica di ambiguità e di contraddizioni), quell’orientalismo senza il quale la nostra cultura, la nostra arte, al nostra sensibilità europea non sarebbe quella che è.
Ilaria Sabbatini c’introduce alla storia del viaggio e, in particolare, di quel viaggio particolare che è il pellegrinaggio: che nel mondo delle tre grandi religioni abramitiche non è – come lo è invece, con molte variabili, nei grandi sistemi mitico-religiosi delle antiche civiltà e in quelli che ancora sopravvivono, quali induismo, buddhismo, jainismo, taoismo, shintoismo – la “ricerca del Sacro”, la tensione che conduce a individuare “sorgenti” e “correnti “ di energia divina o comunque numinosa con le quali entrare in contatto, bensì la volontà, sostenuta dalla fede, di leggere in luoghi e ambienti fisici e architettonico-monumentali precisi (i “luoghi santi”, appunto) la traccia e la conferma di eventi che hanno fatto irruzione nella storia e che testimoniano il cammino della Rivelazione, del patto tra Dio e il genere umano attraverso la storia dei patriarchi e dei profeti d’Israele, di Gesù di Nazareth, di Muhammad.
Infine, il solido ancoraggio con la città che forse più d’ogni altra ha contribuito alla trasformazione del mondo e alla nascita della Modernità nei secoli cruciali della nostra storia, dallo splendido Duecento al terribile Trecento al mirabile eppur tanto problematico Quattrocento.
Attraverso una generosa analisi dei testi di viaggio e/o di pellegrinaggio (il pellegrino è pur sempre un viaggiatore, sia pure sui generis: ma non sempre i viaggiatori sono pellegrini, e d’altronde il viaggiatore-pellegrino si rivela sovente anche altre cose, per esempio esperto in mercatura), corroborata dalla conoscenza e dall’uso di altre fonti, l’autrice ci conduce alla scoperta di un vasto affresco ottenuto dall’esame analitico e incrociato di testi (perlopiù, ma non esclusivamente, “memorie’ di viaggio”) che ci mettono in grado di comprendere sia il contesto nel quale sono stati redatti, sia i rapporti con le culture non cristiane – anzitutto, spesso esclusivamente l’islam – e le loro modalità, sia gli ambienti e gli scenari nei quali l’incontro con “l’Altro” ha avuto luogo (il santuario, la città, il giardino, il deserto, ciascuno con i suoi abitatori non solo umani, ma anche naturali, quindi animali e vegetali).
Ma attenzione: il sostantivo “affresco”, da noi qualificato per dare un’idea dell’ampiezza, della varietà e del fascino del contenuto – e le qualità di scrittura dell’autrice sono davvero notevoli –, non deve trarre in inganno inducendo il lettore a credere di trovarsi dinanzi a qualcosa di statico. In effetti, la tecnica dell’affresco letterario ben si adatta ai tessuti narrativi per così dire sincronici, che prendono in considerazione tempi e magari anche luoghi limitati per non dire ristretti, nei quali non siano o siano poco registrabili mutamenti importanti sul piano della genesi politica, di quella economica, di quella religiosa o degli atteggiamenti mentali.
Ma non è questo il nostro caso: la narrazione abbraccia la vita e la società fiorentina di tre secoli – e di quali secoli! I nodali e decisivi nella storia di Firenze, dell’Italia e dell’Europa – durante i quali si è passati dal pieno Medioevo all’alba del Rinascimento.
I nostri viaggiatori e/o pellegrini, ora religiosi (come il duecentesco Riccoldo da Montecroce o il quattrocentesco Filippo Rinuccini) ora laici, ora di elevata condizione socioeconomica o addirittura membri del ceto dirigente del momento ora di più umile estrazione, vanno a costituire una galleria di attori – talvolta di protagonisti di una città che passa dal governo del Primo Popolo, cioè dal tempo della coniazione del fiorino, alla crisi di metà Trecento con l’alternarsi delle epidemie e delle carestie e la caduta demografica che del resto la città toscana condivise con si può dire tutti i centri demici europei, al nascere e a svilupparsi (dopo il torbido momento della “rivolta dei ciompi” e del ritorno violento all’ordine) di quell’oligarchia di famiglie di banchieri, d’imprenditori e di mercanti che, attraverso una spietata selezione politica, avrebbe condotto alla “criptosignoria” medicea, quindi alla crisi della repubblica.
Frattanto il mondo si modificava e si allargava: da est giungeva la minaccia ottomana che avrebbe finito col sommergere Costantinopoli cancellando l’impero bizantino e quindi anche Gerusalemme sottratta ai sultani mamelucchi d’Egitto con i quali la Firenze del Quattrocento aveva tanto buoni e stretti rapporti economici e diplomatici; mentre a ovest, a differenza del titolo di un celebre romanzo di Eric Maria Remarque sulla Prima guerra mondiale, accadeva molto, anzi moltissimo di nuovo: gli avvii portoghesi e spagnoli dell’esplorazione atlantica (che aveva trovato peraltro precocemente interessati ad essi fino dal tempo della spedizione dei fratelli Vivaldi e quindi della scoperta d quelle isole che avevano affascinato ed entusiasmato lo stesso Boccaccio), la “rivoluzione cartografica” catalana e genovese, la liquidazione degli ultimi emirati “mori” di Andalusia.
Firenze, che manteneva vivissime relazioni con la Grecia e le isole ionie ed egee (dove non mancavano dinasti fiorentini ivi insediati, dai Buondelmonti agli Acciaioli), con il Maghreb arabo-berbero, con lo stesso Egitto, con i vari potentati turchi d’Anatolia – e anche più in là, fino alla tartara Orda d’Oro e ai khanati mongoli di Persia – era divenuta, specie dopo la conquista di Pisa del 1405, una presenza (se non proprio una potenza) navale mediterranea, con tutte le conseguenze politiche, economiche, diplomatiche e militari che ciò comportava. D’altronde, lo sviluppo della spiritualità connessa anche gli impulsi escatologico-apocalittici e l’avvio dei movimenti delle “Osservanze”, aveva molto modificato lo stesso clima religioso del pellegrinaggio e l’atteggiamento devozionale proprio soprattutto dei laici.
Siamo in altri termini, possiamo dire, al contributo fiorentino al fenomeno della devotio moderna. Infine, l’attenzione dell’autrice – stavamo per dire il suo “gusto” – per la storia del quotidiano, del privato, è sempre vivo e sorvegliato, a ricordarci che, come diceva Lucien Febvre, gli uomini viaggiavano su navi di legno e mangiavano alimenti vegetali o animali: non viaggiavano su pezzi di carta, non mangiavano roba di carta.
Qui ci sono la carne, il sangue, il desiderio di vedere e di sapere, la memoria, la malattia, la speranza, la generosità, l’avidità, l’amore, l’odio, la paura: insomma c’è quell’odore di carne umana che lo storico – che quando è tale è, diceva Marc Bloch, “come l’orco della fiaba” – va sempre cercando. Altrimenti è un cronista, un annalista, un collezionista, un voyeur.
Ilaria Sabbatini è una storica del viaggio, del pellegrinaggio, delle vie di comunicazione, degli orizzonti mentali del viaggiare. Siamo in altri termini dinanzi a un esperimento che qualche anno fa si sarebbe definito d’histoire totale condotto attraverso lo strumento di una narrazione che tiene conto del carattere genetico della dinamica storica – “processo”, non “progresso” –, per un verso tutt’altro che evoluzionisticamente e deterministicamente événementielle, per un altro attenta alle diversità e alle variazioni: alcuni testi, con la loro attenzione per i santuari, le reliquie, le forme devozionali, si rivelano ricchi di una spiritualità “gotica”, da “autunno del Medioevo”; altri con la loro curiosità per tutto quel che attiene agli usi, ai costumi, ai prezzi, alle merci, ai porti, alle condizioni del viaggio, palesano la loro familiarità con la vita economica e le pratiche di mercatura.
Dietro la trama e l’ordito di questi racconti, che hanno sovente il vero e proprio sapore della presa diretta – anche se, intendiamoci, la ripetizione e addirittura il plagio sono molto più frequenti di quanto non possa a prima vista sembrare: siamo del resto in un’epoca che ignora “diritti d’autore” e copyright – si avverte spesso la conoscenza se non addirittura la dimestichezza, da parte dei vari autori, con una serie di generi letterati che vanno dal manuale mercantesco all’epistolografia familiare, dalla memorialistica anche politica alla pratica notarile, dai trattati di etica al romanzo d’avventura.
Una particolare attenzione è attribuita poi a certi testi la problematica dei quali è avvero affascinante: come – ed è un caso prezioso, non frequente – i testi di memoria “sinottici” redatti, in tempi ed età differenti fra loro ed è difficile stabilire quanto e fino a che punto indipendenti l’uno dall’altro, da tre pellegrini degli anni 1384-1385, partiti dalla città all’indomani del ristabilimento dell’ordine oligarchico dopo il quadriennio 1378-1382 di emergenza delle Arti minori e addirittura dei subalterni del regime corporativo (gli scardassieri, i “ciompi”): Lionardo Frescobaldi, Giorgio Gucci, Simone Sigoli – i primi due dei quali appartenenti a diverso titolo al ceto dirigente cittadino –, con le loro differenti sensibilità, i diversi livelli di cultura e di condizione sociale, la variegata reazione dinanzi all’incontro con il “diverso” cristiano-orientale o saraceno. Devozione apocalittica, rigurgiti di “nostalgia” crociata, atteggiamenti di chiusura o al contrario di comprensione se non addirittura di magari dissimulata simpatìa, s’incontrano in questo interessante terzetto espressione di un gruppo più ampio di pellegrini fiorentini: e dietro alla loro rispettiva narrazione che spesso si conferma reciprocamente, spesso si contraddice, ecco i profili sia di uno dei più importanti e interessanti cittadini del tempo, quel Guido del Palagio che avrebbe dovuto a sua volta partecipare al viaggio, sia della “dittatrice” della mistica toscana e non solo toscana del tempo, la prophetissa Caterina da Siena (si è in effetti da poco avviato il Grande scisma d’Occidente).
Di recente l’editore Olschki ha dato alle stampe uno splendido ancorché molto problematico testo di viaggio-pellegrinaggio, in realtà un curioso, affascinante zibaldone contenuto in un codice manoscritto conservato nella biblioteca del fiorentinissimo seminario di Cestello e corredato di mirabili, originali disegni a penna ma il cui viaggiatore, l’orafo fiorentino quattrocentesco Marco Rustichi, probabilmente non ha mai intrapreso la “santa cerca” alla volta di Gerusalemme. Molti erano invece i pellegrini che magari in Terrasanta c’erano stati davvero, ma che poi – o per cattiva memoria, o per scarse qualità di osservazione e di scrittura, o perché la cultura del tempo in qualche modo prescriveva comunque il ricorso alle auctoritates – finivano nei loro resoconti per plagiare in tutto o in parte testi precedenti più o meno noti (gettonatissimo era al riguardo il francescano trecentesco Niccolò da Poggibonsi).
Tutte queste varie esperienze avevano bisogno, per quel che riguarda quei fiorentini ch’erano – com’era stato detto – il “quinto elemento” dell’universo, di una riflessione-narrazione che li inquadrasse e li contestualizzasse nel loro insieme. Ilaria Sabbatini ce lo ha fornito.
Franco Cardini