Malattia e morte di Alessio I Comneno

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Federico E. Perozziello, medico, storico medievalista e storico della medicina, racconta la malattia e la morte di Alessio I Comneno (1048-1118) fondatore di una delle più importanti dinastie bizantine. Lo fa attraverso le parole di una testimone d’eccezione: Anna Comnena, figlia primogenita del basileus ed erudita autrice dell’Alessiade, poema epico in prosa di 15 libri dedicato alle vicende storiche che videro protagonista il grande imperatore.


Questa storia ha come protagonista il fondatore di una delle più importanti dinastie bizantine, quella dei Comneni. Alessio I Comneno, l’imperatore di cui racconteremo le vicende relative alla malattia ed alla morte, regnò a lungo, dal 1081 al 1118. Ebbe il merito e la fortuna, per gli storici prima di tutto, di avere accanto un biografo d’eccezione, la colta e raffinata principessa Anna, sua figlia. Grazie all’opera di quest’ultima, l’Alessiade, disponiamo di una fonte storica dettagliata e narrata da un testimone oculare di un periodo intricato e determinante per i destini dell’Europa e del Medio-Oriente.

L’impero bizantino nel 1118 alla morte di Alessio I Comneno. In rosso, il percorso della prima crociata

Un’epoca che vide l’antico Impero Bizantino confrontarsi con le nascenti ambizioni dei popoli dell’Europa Occidentale, lottare allo stesso tempo contro la potenza emergente dei Turchi Selgiuchidi a Oriente e contro le orde dei Peceneghi, una popolazione nomade e semibarbarica che popolava le pianure al di là del Danubio. Come se non bastasse Alessio I dovette fronteggiare anche le mire espansionistiche dei Normanni, il cui sovrano Roberto il Guiscardo, uno dei guerrieri più capaci e astuti di tutto il Medioevo, sognava di conquistare Costantinopoli e di far diventare imperatore suo figlio Boemondo di Taranto.

La figura di Anna Comnena sembra costituire il punto di raccordo e la cifra di comprensione di tutto questo periodo storico, sia perché ebbe una vita relativamente lunga (1083-1148/50) che interessò gli anni di regno dei tre più importanti imperatori della dinastia Comnena, Alessio I, Giovanni II e Manuele I a lei legati da stretti vincoli di parentela, sia perché il suo ruolo di principessa primogenita e la sua intelligenza e ambizione l’hanno resa testimone cosciente e irripetibile di un’intera epoca.

Anna definisce se stessa come Porfirogenita, cioè “nata nella porpora”. Era un titolo che solo i principi di sangue reale potevano vantare per essere venuti al mondo in una stanza del palazzo imperiale le cui pareti erano interamente rivestite di lastre di porfido rosso, una pietra estratta in cave egiziane e che poteva essere adoperata solo per la rappresentazione di figure di stirpe imperiale. Il rosso porpora, lo stesso colore del porfido, era infatti proibito ai comuni mortali e solo l’imperatore e la sua famiglia potevano fregiarsene.

I Tetrarchi, scultura in porfido ora a Venezia dei quattro co-regnanti che governarono l’impero romano durante la riforma di Diocleziano

A Venezia, in un muro angolare della Basilica di San Marco, i turisti possono ancor oggi ammirare il gruppo statuario dei Tetrarchi composto da quattro imperatori raffigurati in porfido rosso e trafugato dai veneziani durante la Quarta Crociata del 1204 che devastò e saccheggiò Bisanzio.

Salito al potere in un momento storico di particolare difficoltà, con l’impero assalito da nemici agguerriti a Oriente e Occidente, in circa trentasette anni di regno Alessio I Comneno riuscì ad evitare il tracollo dello stato di cui aveva raccolto lo scettro in condizioni disastrose da un punto di vista sociale, politico ed economico. Dovette fare fronte anche a quel colossale imprevisto storico che fu la Prima Crociata governando a lungo in mezzo a tante difficoltà e utilizzando con eguale efficacia e padronanza la forza, l’astuzia, l’inganno e la diplomazia, per morire infine di morte naturale, avvenimento piuttosto raro per un imperatore romano.

Di questa morte, delle sue circostanze e della malattia che la causò direttamente possediamo una descrizione accurata. Il racconto si trova nel XV ed ultimo libro dell’Alessiade, la lunga biografia romanzata dell’imperatore scritta dalla figlia Anna Comnena.

La narrazione della principessa è ricca di particolari che chiariscono molti aspetti della medicina del tempo e che possono indirizzare ad una diagnosi probabile a riguardo della malattia del padre. La morte di Alessio Comneno ha suscitato più di un’interpretazione da parte degli storici. Accurata e significativa è stata quella che troviamo nella classica edizione francese dell’Alessiade, a cura del filologo Bernard Leib.

Per un imperatore bizantino la salute era un bene prezioso come per ogni altro comune mortale. Ma per un autocrate, per un sovrano assoluto quale era il Basileus (così i Bizantini chiamavano l’imperatore), perdere la propria efficienza fisica poteva essere particolarmente pericoloso. Cortigiani attenti erano abili a scoprire ogni piccolo cambiamento, ogni variazione nell’aspetto fisico quotidiano e nelle capacità di governo del loro signore. Sul terreno infido del palazzo imperiale era indispensabile sapere in anticipo da che parte spirasse il vento del potere e su quale carro e di quale personaggio convenisse tenersi pronti a salire. Gli impegni di corte erano gravosi anche quando non vi erano ribellioni da sedare o guerre da combattere. La sola partecipazione alle frequenti cerimonie religiose e civili imponeva uno sforzo fisico non indifferente per mantenere il contegno e la doverosa impassibilità regale sotto le pesanti vesti e gli elaborati ornamenti previsti dal protocollo.

Alessio I Comneno (da un manoscritto bizantino conservato nella Biblioteca apostolica vaticana)

Il Basileus era considerato dall’ideologia imperiale come un vicario di Gesù Cristo sulla terra, una figura con compiti da intermediario tra il divino e l’umano. Secondo le teorie di Eusebio di Cesarea (265-340 d.C.), formulate riguardo al suo protettore Costantino il Grande (306-337 d.C.) e che erano state fatte proprie da tutti i successori di quest’imperatore, il sovrano doveva condurre un’esistenza terrena caratterizzata da una ricerca continua dell’imitatio Christi. La pratica di uno stile di vita di questo tipo, naturalmente quasi sempre più annunciato che praticato, era faticosissima e invadeva ogni aspetto della giornata anche nei suoi momenti più semplici come il mangiare, il vestirsi e il mostrarsi ai propri simili.

Questo intrecciarsi di doveri terreni e di responsabilità trascendenti aveva portato molti imperatori a vivere la loro missione di governo in un’aura mistica e di esaltazione autocratica. Il Basileus Niceforo II Focas (963-969), generale di grande coraggio e capacità strategiche, dormiva per terra su di una semplice pelle come un asceta davanti a un’icona della Vergine Maria. Per testimoniare ulteriormente la sua fede Niceforo II fondò il complesso monastico del Monte Athos nella penisola Calcidica. Soldato spietato con i musulmani, che lo avevano soprannominato la Morte Bianca, questo Basileus era un uomo noioso e notevolmente gretto, tanto che la moglie Teofano organizzò con l’aiuto del suo amante, un generale di bell’aspetto e di pochi scrupoli di nome Giovanni Tzimisces, una riuscita congiura per ucciderlo.

Basilio II (976-1025), l’imperatore sotto il quale l’impero bizantino medievale raggiunse il suo massimo splendore ed estensione territoriale, era un uomo di una determinazione negli affari di stato senza pari. Era tenace e cinico in guerra fino alla ferocia, ma austero nello stile di vita. Venne chiamato il Bulgaroctomo (Il distruttore dei Bulgari), perché aveva represso con una crudeltà inaudita le istanze di indipendenza di quella popolazione. Si racconta che dopo la vittoriosa battaglia di Kleidion, nel luglio del 1014, fece accecare in una sola volta circa quattordicimila soldati bulgari prigionieri che furono rimandati a piedi in patria a gruppi di cento. Gruppi che avevano per guida un solo soldato della stessa etnia cui era stato risparmiato un occhio per poterli guidare. Non si sposò mai per non essere distratto nell’esercizio del potere, l’unica cosa verso cui provasse un vero interesse sentito come una missione di cui era stato investito da una volontà divina. Lasciò spontaneamente il trono imperiale poco tempo prima di morire, per ritirarsi a trascorrere i suoi ultimi giorni di vita da semplice monaco in un monastero della capitale.

Costantino VII Porfirogenito (905-959) ci ha lasciato in un suo saggio, dal titolo Le cerimonie, un trattato sul protocollo di corte, una minuziosa descrizione di come dovesse essere approntato il salone del palazzo imperiale destinato ai banchetti di rappresentanza.
Nel volume sono elencati minuziosamente i posti da destinare ai vari convitati con la loro collocazione in base al rango e alla provenienza geografica. L’imperatore sedeva al vertice della sala del banchetto, su di un palco che lo isolava dai comuni mortali, mentre tutti gli altri tavoli erano messi a distanze sempre più grandi da quello del sovrano in modo direttamente proporzionale all’importanza dei loro occupanti. Possiamo supporre che, come alla corte di Francia del Re Sole nel XVII secolo, i momenti d’intimità fossero relativamente pochi. Tuttavia Luigi XIV riuscì ad istituzionalizzare anche gli aspetti meno presentabili dell’umana esistenza, come la sua toilette quotidiana, mentre un imperatore bizantino doveva cercare di mantenere sempre il più imperturbabile dei contegni anche in situazioni diversissime tra di loro e cariche di una certa dose di stress. Tutto questo era richiesto dalla sacralità della sua persona e codificato da un’ideologia antica di secoli.

Il volto del Basileus poteva e doveva apparire simile alla colossale testa di marmo di Costantino I esposta nel Museo dei Conservatori a Roma. Doveva presentare uno sguardo fisso verso il nulla, verso un punto indefinito e indefinibile fuori dallo spazio che circondava il trono, quasi il sovrano avesse un accesso riservato a una prospettiva di visione della realtà idealmente ultraterrena.

In un capitolo dell’Alessiade veniamo a conoscenza di alcune notizie relative allo stato di salute di Alessio I Comneno il cui improvviso peggioramento veniva dalla figlia messo in relazione con il riacutizzarsi di un malanno reumatico alle estremità inferiori del corpo, un disturbo di cui l’imperatore pare soffrisse da tempo:

…Tuttavia una recrudescenza di dolori ai piedi, che gli sopravvenne in quel momento, non riuscì a distoglierlo dall’impresa. Questa malattia non aveva mai colpito alcuno dei suoi antenati e non vi era elemento che lasciasse supporre che gli fosse stata trasmessa per via ereditaria. Mio padre non era avvezzo a uno stile di vita dedito agli agi, come capita a coloro che nello svolgersi della loro esistenza sono intemperanti e dediti alla ricerca del piacere. Perciò voglio raccontare come avvenne che l’imperatore fosse colpito da questo malanno. Un giorno, per fare un po’ di moto, stava giocando a palla [forse si trattava del gioco del polo] con l’alfiere Tatikio di cui vi ho spesso parlato. Questi, trascinato dallo slancio del suo cavallo, cadde addosso all’imperatore. Ne risultò un forte dolore alle ginocchia e ai piedi, causato dalla contusione. Stoicamente mio padre non manifestò in alcun modo la sua sofferenza. Accettò solo cure leggere e poco tempo dopo, cessati i dolori, riprese le sue abituali occupazioni. Tale fu il motivo iniziale del male ai piedi del Basileus. Purtroppo questi dolori localizzati degenerarono in seguito in una patologia di tipo reumatico…
(Alessiade, XIV, IV, 1-2).

In questa descrizione di una malattia non pericolosa per la vita di suo padre Anna rivela una discreta cultura medica unita a una percezione acuta del dettaglio. Si premura di avvertire il lettore che non si poteva trattare certamente di un malanno di carattere ereditario.

Alessio apparteneva alla famiglia dei Comneni, una delle più antiche e nobili di Bisanzio, che si era distinta da tempo per le capacità belliche dei suoi componenti. Costoro avevano servito con onore nei posti di comando dell’armata imperiale per molte generazioni e un nobile bizantino di alto lignaggio si vantava di essere esperto nel mestiere delle armi e nei passatempi virili come la caccia allo stesso modo che nelle dissertazioni filosofiche e teologiche.

L’assedio di Antiochia del 1098 in una miniatura medievale francese del XV secolo

Se il protocollo rigido di corte poteva essere violato da ospiti rozzi e volgari, come i baroni franchi che partecipavano alla Prima Crociata, questo non era certamente permesso al Basileus, che era destinato a sopportare con una rassegnazione quasi stoica e religiosa il peso gratificante, ma insieme logorante del potere. Anna aggiunse in proposito:

…Questa è dunque la causa dei dolori ai piedi che affliggevano l’imperatore. Da allora [1096 circa] e fino alla sua morte, a distanza di intervalli periodici, i reumatismi lo assalivano e gli causavano dei dolori violenti. Tuttavia mio padre era talmente resistente che non si lasciava mai sfuggire un lamento. Diceva solamente: «Merito di soffrire! Giustamente ciò mi capita a causa della moltitudine dei miei errori». Se per caso una parola di debolezza gli sfuggiva dalle labbra, subito si faceva il segno della croce per scacciare tale demone scellerato dicendo: «Vattene, miserabile! Disgrazia per te e per le tue insidie contro i cristiani».
(Alessiade, XIV, IV, 8).

Questo episodio della vita di Alessio ci fa comprendere quanto fosse gravoso comportarsi da autocrate assoluto e come fosse impegnativo, anche da un punto di vista fisico, governare una stato grande e travagliato da gravi problemi. Pur essendo di costituzione robusta il Basileus era tormentato da anni da piccoli acciacchi molto fastidiosi. A causa della vita stressante che Alessio conduceva e alla sua alimentazione iperproteica si può pensare con ragionevolezza a crisi periodiche di artrite uratica o gotta.

Come è noto questa malattia, causata da un eccesso di acido urico nel sangue e dalla sua precipitazione in forma di cristalli a livello delle articolazioni, poteva essere innescata e favorita da una dieta ricca di carne come quella abituale dei ricchi e potenti signori medievali. Si trattava di un’alimentazione costituita prevalentemente da cacciagione, cibo considerato onorevole per un nobile, sia perché era prerogativa del signore cacciare nei fondi del proprio feudo, sia perché la caccia era considerata un utile esercizio propedeutico all’attività militare vera e propria. La carne degli animali selvatici è particolarmente ricca di proteine che stimolano il metabolismo alla produzione di acido urico e facilitano l’insorgenza degli attacchi di gotta negli individui predisposti.

Si può calcolare in alcune migliaia di calorie giornaliere ciò che un cavaliere del tempo poteva e doveva ingurgitare per affrontare un addestramento militare impegnativo. Un mestiere delle armi che prevedeva l’uso di lunghe spade, di lance e di un’armatura del peso di oltre venti chilogrammi, parte integrante del corredo bellico. Rispetto alle circa 2000 calorie al giorno consigliate dalle diete moderne per un individuo adulto in buona salute un cavaliere medievale poteva arrivare ad ingerire quotidianamente cibi per 7000-8000 calorie. Si trattava di calorie frutto di una dieta iperproteica e iperlipidica che aiutava a sviluppare i muscoli ma logorava rapidamente arterie e articolazioni. Alla tavola del signore feudale verdure e frutta erano due componenti di secondo piano e disprezzate, perché considerate degne solo delle classi più povere.

Non abbiamo motivo per dubitare che anche in Oriente, presso le grandi famiglie bizantine, l’alimentazione si scostasse molto da queste abitudini. Il nipote di Alessio I ad esempio, Manuele I Comneno (1143-1180), nutriva un’ammirazione accesa per gli ideali cavallereschi e per le modalità di vita dei nobili occidentali. Era noto per il coraggio con cui in battaglia cavalcava verso i nemici coperto da una pesante armatura e per il suo impegno a organizzare e partecipare con entusiasmo ad impegnativi tornei cavallereschi.

La conclusione del XV ed ultimo libro dell’Alessiade è tutta dedicata alla morte del padre di Anna Comnena. L’ultimo atto importante del regno di Alessio, prima del manifestarsi della malattia fatale, fu il processo e la condanna al rogo degli eretici Bogomili. Questi erano gli adepti di una setta religiosa di ispirazione manichea, che professava una credo basato sull’esistenza di due entità divine distinte, una operante il Bene e l’altra il Male. Tale credenza aveva preso piede in Tracia nel IX secolo, dopo essere stata introdotta nell’impero circa un secolo prima dai seguaci dell’affine eresia pauliciana, provenienti dall’Armenia e poi esiliati nell’odierna Bulgaria.

Alessio I Comneno condusse per tutta la sua vita una politica di accordo con la Chiesa e il patriarca di Costantinopoli. Questi, a differenza del papa di Roma, non era indipendente dal sovrano ma era di solito acquiescente alla politica imperiale, visto che veniva scelto dall’imperatore medesimo. La persecuzione delle sette eretiche era dunque funzionale ad ottenere l’appoggio incondizionato del clero ortodosso che si sentiva in questo modo tutelato e garantito dal potere temporale.

La politica di Alessio di repressione della setta dei Bogomili era utile a ribadire il ruolo di garanzia e di ordine che l’imperatore esercitava nei confronti dell’Ortodossia come unica religione di stato. Teneva lontani da Bisanzio gli influssi orientali ed esoterici di cui i Bogomili si erano fatti portatori e che erano inconciliabili con la religione cristiana. Il capo degli eretici, di nome Basilio, era un uomo di indubbio fascino che aveva probabilmente attirato nelle sue trame anche personaggi importanti della corte. Basilio affrontò la terribile fine che gli era stata riservata con coraggio. Salì sul rogo per lui approntato con dignità e Anna racconta come il fuoco del rogo sembrasse quasi compiaciuto di riceverlo e di consumarlo:

…La fiamma stessa, come se fosse adirata contro di lui, divorò con tanta energia l’empio Basilio che non si ebbe sentore dell’odore della carne bruciata, né vi fu la minima alterazione nel levarsi dei vapori dalla pira, ma solo una sottile traccia di fumo fu vista ergersi tra le vampe…
(Alessiade, XV, X , 4).

Un anno e mezzo dopo il ritorno dall’ultima campagna contro i Turchi e la condanna degli eretici Bogomili il destino terreno di Alessio I Comneno trovò il proprio compimento. La principessa Anna appare titubante nell’iniziare il racconto delle vicende legate alla morte del padre:

…Poiché la grandezza dell’argomento che sto narrando lo esige e dal momento che ho tanto amato i miei genitori fin dalla culla, sto per trasgredire alle regole stesse di questa storia, raccontando ciò che non avevo intenzione di fare, la morte dell’imperatore mio padre. Egli aveva fatto una lunga corsa a cavallo e a causa del vento che soffiava impetuoso i suoi umori refluirono dalle estremità e si localizzarono in un lato solo del torace. La maggior parte dei medici non si accorse con chiarezza e tempestività di queste avvisaglie della disgrazia che incombeva su di noi. Solo uno dei medici, di nome Nicola Kallikle, ci mise in guardia contro il male ed esternò il suo timore di veder refluire gli umori dalle estremità del corpo seguendo una strada diversa dalla solita, rischiando così di causare al paziente un danno senza rimedio. Noi, i suoi congiunti più cari, non prestammo all’inizio fede a queste preoccupazioni, perché non eravamo disposti a crederlo minimamente…
(Alessiade, XV, XI, 2).

Secondo la credenza diagnostica e terapeutica propria degli insegnamenti di Ippocrate e di Galeno la principessa riteneva che l’uso di purganti, fossero essi sostanze ad azione emetica o lassativa, potesse costituire un rimedio all’accumulo di presunti umori patologici che avevano alterato lo stato di salute del genitore.

Vi era in quest’opinione una conferma di tutta la cultura del personaggio che non esitava a prendere posizione in campi del sapere diversi da quelli che avrebbero dovuto caratterizzare la sua preparazione culturale e il proprio ruolo istituzionale. Si trattava di un parere difficile da difendere poiché il collegio medico autorevole che aveva in cura l’imperatore propendeva per differenti strategie terapeutiche:

…Nessun altro medico fino a questo momento, salvo Nicola Kallikle, aveva immaginato di usare dei purganti. In effetti l’organismo dell’imperatore non era avvezzo a prendere tali farmaci per la consueta astensione dalle medicine [da lui praticata]. In questo modo argomentavano la maggior parte dei medici e Michele Pantecne tra di loro con maggior vigore rispetto agli altri, fino a proibirgli recisamente ogni purgante. Allora Kallikle, che prevedeva a quale conclusione si sarebbe giunti, intervenne con severità: «Mentre noi discutiamo, il male, dopo essere migrato dalle estremità, ha raggiunto il petto e la gola. Se non viene allontanato con l’uso di evacuanti interesserà qualche organo vitale o lo stesso cuore e causerà uno stato morboso irrimediabile». Poiché io stessa mi trovavo a presiedere il consulto dei medici per ordine dell’imperatrice mia madre, ascoltai i loro discorsi e da parte mia propendevo per le tesi di Kallikle. Prevalse invece l’opinione della maggioranza. Tuttavia dopo aver esercitato il loro potere sul corpo dell’imperatore per il tempo dovuto, i cattivi umori scomparvero improvvisamente e il malato sembrò riacquistare la salute…”.
(Alessiade, XV, XI, 3)

Medicine bizantine

Compare in questa parte dell’Alessiade la figura di Nicola Kallikle, medico e professore di medicina nelle scuole di Bisanzio. Vissuto a cavallo tra la fine del secolo XI e la metà del XII, Kallikle fu anche poeta e autore di una trentina di componimenti in dodecasillabi, di tipo elegiaco sepolcrale oppure celebratorio. Oltre che medico autorevole, era uno scrittore dotato di una certa eleganza stilistica e un raffinato intellettuale, una figura carismatica che non poteva non catturare l’attenzione e la benevolenza di una donna colta come Anna Comnena.

I versi del suo epigramma Sulla tomba del principe Ruggero, dotati di una consapevole malinconia, illustrano un mondo cavalleresco scomparso:

Vittorie, battaglie e rumore di cavalcate,
impeto della mia lancia e movimenti dello scudo,
calcolato ardimento e coraggio nell’affrontare i nemici,
tutto è ora qui, mutato in una polvere fine e sottile:
io, che una volta fui un cavaliere trionfante,
adesso un pittore può solo dipingere come una vaga ombra…

La morte era sempre in agguato, anche tra gli splendori della più scintillante e fastosa delle corti medievali. Il male di Alessio Comneno sembrava scomparso, almeno apparentemente. Si trattava invece di una guarigione solo momentanea. Sei mesi non erano completamente trascorsi dall’episodio che aveva visto tutti i medici di corte pronunciarsi sullo stato di salute dell’imperatore che la malattia colpì di nuovo il Basileus. Anna ne diede la colpa alle fatiche del regno, a una vita che si era consumata nella difesa dello stato da nemici interni ed esterni. La principessa aggiunse al racconto un ulteriore particolare di cui lei sola era a conoscenza e tratto ancora una volta dall’intimità familiare:

…Io stessa ho udito mio padre parlare con mia madre [l’imperatrice Irene Dukas] per raccontarle il proprio malessere: «Che cos’è dunque questo dolore che provo nel respirare? Io vorrei inalare profondamente e con un movimento ampio del torace, come se dovessi alleviare l’angoscia che mi pesa sul cuore… È come se una pesante pietra si trovasse posta sul mio petto e m’impedisse di respirare con libertà. Non riesco a capire la causa, né l’origine di questa sofferenza che mi cresce dentro. Voglio confessarti un’altra cosa che mi accade, anima mia, compagna delle mie sofferenze e dei miei pensieri. Mi capita spesso di sbadigliare, ma quando inspiro l’aria il mio respiro si blocca e ciò mi causa un’angoscia profonda. Qual è la natura di questa nuova prova che mi affanna? Se ne conosci l’origine, rendimela manifesta»…
(Alessiade, XV, XI, 4)

Da un punto di vista strettamente medico il passo è significativo perché potrebbe testimoniare la presenza di un interessamento diaframmatico collegato a una neoplasia che abbia invaso il muscolo diaframma ed eserciti una compressione sulla sua innervazione. Dal brano citato risalta, in verità alquanto idealizzata, l’armonia del rapporto di coppia e amoroso che legava i genitori di Anna. Anche nel momento della malattia Anna ci tiene a fare delle precisazioni, quasi ad allontanare nel lettore ogni minimo sospetto dell’esistenza di dissidi tra i coniugi imperiali:

…spesso Ella [Irene] faceva venire a consulto i medici più abili e chiedeva loro insistentemente di conoscere le cause del male, sia quelle dirette che quelle meno evidenti. Costoro valutavano con cura il battito del polso cercando di riconoscere i diversi sintomi dall’irregolarità delle pulsazioni ma senza diagnosticare una causa precisa. Sapevano che lo stile di vita del sovrano, lontano dall’essere criticabile, era piuttosto sobrio e frugale, simile a quello degli atleti o dei soldati e fatto apposta per prevenire un travaso di umori legato a uno stile di vita saturo di eccessi. Per questo motivo i medici attribuivano una diversa causa all’origine della malattia. Essi affermavano che il motivo più sicuro del male risiedeva unicamente nell’applicazione intensa del Basileus verso gli affari di stato da cui derivavano preoccupazioni continue che si intrecciavano e sommavano tra di loro. A causa di questo logorio ininterrotto il cuore di Alessio si era ammalato e attirava verso di sé gli umori corrotti dalle altre parti del corpo…
(Alessiade, XV, XI, 5)

Anche la principessa riteneva che la malattia del padre fosse dovuta principalmente agli affanni di governo, al logorio della responsabilità causata dalla tutela del bene comune. Nel racconto della figlia Alessio sembrava assumere una somiglianza reale con Gesù Cristo, oltre quella figurata che l’ideologia e agiografia bizantina attribuivano di solito al sovrano. Secondo tale concezione l’imperatore prendeva su di sé gli affanni e le preoccupazioni del suo popolo senza potersene liberare. Esercitando il potere assoluto come una missione veniva prostrato da quel peso fino a raggiungere con il tempo la condizione di una vera e propria imitatio Christi. L’esito di questo percorso esistenziale era la donazione della propria vita allo stato e la santità personale come ricompensa. Con il peggiorare delle condizioni di salute del malato, la narrazione dell’Alessiade prende toni sempre più cupamente tragici:

…Ogni giorno il male faceva tali progressi che i dolori lo tormentavano, non già a intermittenza, ma continuamente e senza intervallo, al punto che l’imperatore non poteva più giacere steso su di un fianco, né respirare senza sforzo. Tutti i medici disponibili vennero allora chiamati a corte e il male del sovrano fu sottoposto alla loro attenzione. Erano tutti di parere differente tra di loro e ciascuno formulava delle diagnosi diverse e secondo tali conclusioni voleva applicare la terapia conseguente. Così, mentre ognuno suggeriva questa o quella ipotesi, le condizioni dell’imperatore restavano gravi e la mancanza di respiro non lo abbandonava nemmeno un momento. Alessio era obbligato a mettersi seduto per tirare il fiato e se per caso si metteva supino o si adagiava su di un fianco l’affanno purtroppo riprendeva subito vigore. Quando il sonno aveva pietà di lui e lo raggiungeva rischiava il soffocamento, di modo che per tutto il tempo, sia che stesse sveglio, sia che dormisse, il rischio di morte per asfissia lo minacciava…”.
(Alessiade, XV, XI, 6)

La sintomatologia presentata da Alessio può ora essere interpretata in modo più sicuro. Osserviamo il presentarsi di una dispnea progressiva e sempre più grave, con un decubito semi-ortopnoico obbligato legato alla necessità per il malato di dover rimanere seduto nel letto per poter respirare con il minor affanno possibile. Era il segno infausto della presenza di un ingombro mediastinico e toracico, della consistenza di una massa tumorale che si andava dilatando e stava occupando lo spazio tra i due polmoni. Era comparso un wheezing, un termine inglese che sta a significare un caratteristico rumore di respiro affannoso e sibilante, un ansimare penoso che prende questi pazienti quando il tumore comincia a restringere, come la mano di un assassino lento e tenace, il lume della trachea o dei bronchi di grosso calibro, formando un ostacolo meccanico alla fuoriuscita dell’aria dalle vie aeree.

La supposizione del Verdun, lo studioso francese dell’opera di Anna Comnena, che ha ipotizzato la presenza di un sarcoma toracico, sembra verosimile, anche se definire istologicamente il tipo di neoplasia che colpì l’imperatore appare un po’ azzardato alla luce della sola descrizione presente nell’Alessiade. Appare però manifesta l’impotenza terapeutica dei medici del tempo che ricorsero al più sperimentato dei rimedi dell’armamentario galenico: il salasso. Si trattava in verità di una misera arma contro un nemico così agguerrito:

…Dal momento che non gli si davano dei purganti, si ricorse a un salasso che gli venne praticato attraverso un’incisione su di un braccio. Tuttavia l’imperatore non ne ricavò alcun sollievo e si trovò nella medesima condizione di partenza con una respirazione così difficoltosa da correre in ogni momento il rischio di esalare la sua anima nelle nostre mani, unita a un continuo ed estenuante sforzo per ogni respiro. Improvvisamente e insperatamente si verificò un modesto miglioramento delle sue condizioni grazie a un rimedio a base di pepe che gli venne somministrato. Noi [i familiari di Alessio], nella nostra felicità, non sapevamo più come manifestare la gioia e facevamo salire al Cielo fervide preghiere di ringraziamento. Purtroppo non si trattò che di un’amara illusione perché dopo tre o quattro giorni, di colpo come se ne erano andati, gli stessi sintomi di soffocamento lo attanagliarono di nuovo con il medesimo senso di oppressione al torace. Mi domando se il male non sia stato peggiorato da questo medicamento che facilitò magari la diffusione degli umori patogeni senza poterli controllare e li spinse nelle cavità delle arterie aggravando le condizioni di mio padre… “.
(Alessiade, XV, XI, 7).

Per un medico dell’antichità classica e quindi per i suoi continuatori ed eredi bizantini, i polmoni non servivano affatto per respirare, nel senso di essere la sede dello scambio dell’ossigeno tra aria e sangue come ben sappiamo oggi. Secondo le credenze del tempo, i polmoni avevano invece il compito di convogliare l’aria al cuore, la sede della combustione energetica e dello spirito vitale. Di questa lontana concezione abbiamo oggi una rappresentazione negli ex-voto che ornano le pareti delle nostre chiese e dei nostri santuari. Innumerevoli cuori d’argento e d’oro recano ben impressa sulla loro superficie la fiamma della vita e testimoniano la riconoscenza di fedeli inconsapevoli di questo valore simbolico della loro offerta.

Irene Ducaena, moglie di Alessio I

Questo punto del racconto segna il confine di non ritorno nella vicenda della malattia di Alessio. Da questo momento in avanti le condizioni dell’imperatore si aggraveranno progressivamente in un modo che non sarà possibile ostacolare. La narrazione dell’Alessiade prende così ad articolarsi in un’atmosfera di tragedia incombente e angosciosa:

…Divenne impossibile poterlo sdraiare sul letto in una posizione comoda poiché la malattia raggiunse l’apice della sua gravità. Il Basileus trascorreva insonne tutta la notte e non poteva assumere senza sofferenze alcun alimento, né qualunque cosa si fosse tentata lo avrebbe potuto salvare. Spesso, a volte senza alcun momento di riposo, ho visto mia madre restare tutta la notte al capezzale di mio padre. Se ne stava al capo del letto e lo sosteneva con le mani per facilitargli in qualche modo la respirazione. Le lacrime sgorgavano spesso dai suoi occhi più copiose dei flutti del Nilo. Tutte le premure di cui Ella lo faceva oggetto giorno e notte, tutte le fatiche che sopportava per aiutarlo, stendendolo nel letto, cambiandogli la posizione del riposo, immaginando ogni possibile combinazione delle sue coperte per rendergli il giaciglio confortevole, è impossibile descriverlo. Non esisteva modo di procurare un minimo di sollievo a mio padre, perché simile ad una corda stretta intorno al collo il male non lo abbandonava un solo istante e non cessava un momento di soffocarlo…”.
(Alessiade, XV, XI, 8).

Sono ora presenti chiaramente i sintomi di un soffocamento da compressione mediastinica della trachea e dei bronchi principali. Il tumore allo stadio avanzato preme su questi organi impedendo il libero flusso dell’aria. Le vene del collo divengono turgide e rilevate sulla superficie cutanea. Il viso assume un colorito lievemente bluastro e cianotico, le labbra si gonfiano e divengono tumide e di colore più scuro. La situazione precipitava. L’imperatore morente venne trasferito prima nell’ala sud del palazzo reale e quindi in un’altra residenza, anche questa non troppo lontana dalla reggia, presso il monastero di San Giorgio dei Mangani che era dotato di un efficiente ospedale:

…Dal momento che tale malattia era senza rimedio, il Basileus fu trasportato nella parte del palazzo reale orientata a Sud. Sofferente com’era, trovava un minimo sollievo nello spostarsi. Pertanto la regina ebbe l’idea di rendere questa modalità itinerante la più continua possibile. Vennero fissate delle traverse di legno ai piedi e al capo del letto imperiale ed ella diede l’ordine di sollevarlo e di portarlo in giro a degli uomini che si davano il cambio a vicenda in questo affaccendarsi per l’imperatore. Dopo questa iniziativa il Basileus fu portato nel grande palazzo che è situato vicino al convento dei Mangani. Nonostante questi accorgimenti la salute del Basileus non migliorò. Quando l’imperatrice mia madre vide che la malattia si aggravava sempre di più, disperando ormai di ogni aiuto umano, rivolse a Dio preghiere ancora più ardenti per il coniuge. Diede ordine di accendere lumi a profusione in tutte le chiese e di cantare inni di supplica senza posa. Provvide a distribuzioni di denaro per gli abitanti di ogni contrada e città costiera di ogni mare dell’impero. Pregò con passione tutti gli anacoreti delle montagne, gli eremiti delle grotte più sperdute e coloro che trascorrono in luoghi aspri e lontani dal mondo le loro solitarie e ascetiche vite di elevare ardenti suppliche al Cielo. Attraverso la sua generosità l’imperatrice venne in soccorso di tutti coloro che erano malati, detenuti o nella disperazione della miseria, invitandoli nello stesso tempo a pregare per la salute e la salvezza del marito…”.
(Alessiade, XV, XI, 9).

Poiché non era possibile agire con strumenti umani, ci si affidò all’intervento divino. Un’azione difficile a verificarsi, anche se indispensabile. Per ottenerlo l’imperatrice Irene si mostrò pronta a offrire le sue ricchezze. Tuttavia la progressione della malattia continuò inesorabile e apparvero sinistre le avvisaglie dell’evoluzione finale del tumore. Si manifestò un versamento ascitico, secondario a delle metastasi addominali, che gonfiò di liquido l’addome di Alessio:

…Quando il ventre dell’imperatore si fu dilatato a dismisura e i suoi piedi si furono egualmente gonfiati, nonostante la febbre avesse a quel punto preso possesso del corpo del Basileus, qualche medico decise di fare ricorso alle ustioni praticate con il cauterio senza preoccuparsi troppo dell’innalzamento della temperatura corporea. Tutte le terapie parevano ormai inefficaci e forse addirittura inutili.
Il cauterio infatti non ebbe alcun effetto, l’addome rimase nella medesima condizione, dilatato oltre misura e la respirazione continuò a essere per questo ancora più difficoltosa. Gli umori, provenendo dai recessi più oscuri e dalle cavità più misteriose del corpo, s’introdussero nella gola e si fissarono a quello che i medici chiamano il palato. Le gengive si infiammarono, la gola si tumefece e la lingua si gonfiò a tal punto che i canali attraverso i quali gli alimenti devono passare si restrinsero fino a ostruirsi ad una delle loro estremità. La cosa ci fece temere la terribile eventualità di una impossibilità totale di alimentarlo provocata dal difficile transito dei cibi. Dio conosce bene che mi occupavo del vitto del mio amato padre con la maggiore cura possibile e ogni giorno gli recavo con le mie mani degli alimenti che mi ero sforzata di preparare sotto forma di tenere pappe…
(Alessiade, XV, XI,10).

Anche in Anna sembra subentrare lo scoramento. Il suo carattere combattivo e la tenace perseveranza nel tentare qualsiasi rimedio possa rivelarsi efficace per la salute del padre sono frustrati:

…Tutti i rimedi provati per ridurre la sua ascite, un gonfiore così crudele, parvero inutili e tutte le cure, sia quelle dei familiari che quelle dei medici, si rivelarono inefficaci. Erano già undici giorni che la malattia dell’imperatore era arrivata all’ultima fase, quando il male raggiunse l’apice del suo decorso mettendolo in pericolo di vita. Lo stato penoso del sovrano si aggravò ancora in seguito a una dissenteria. Gli uni dopo gli altri e senza tregua i dolori si abbattevano su di noi. Non nutrivo più alcuna speranza che potesse giungere qualcosa di buono da ogni dove, né dai medici, né dal nostro operare… Ogni cosa annunciava la morte…
(Alessiade, XV, XI, 11).

L’evoluzione clinica delle condizioni di Alessio I Comneno oggi ci appare in modo chiaro. Era iniziato tutto con una dolenzia localizzata a un emitorace che si era poi estesa a quello del lato opposto. In seguito erano sopravvenuti i primi dolori veri e propri, subdoli e insidiosi, che si accompagnavano ai movimenti di più ampia escursione della gabbia toracica ed erano uniti a un senso di difficoltà respiratoria sempre più grave. L’imperatore si lamentò con la moglie per il suo stato, sentiva che le forze cominciavano a mancargli e non riusciva più a esercitare l’autocontrollo nei comportamenti che gli era stato proprio. Iniziava così la discesa della china che lo avrebbe portato inevitabilmente alla morte.

Un’evoluzione così rapida (poche settimane) e di questo tipo può essere dovuta solo ad un tumore maligno del torace molto aggressivo ed a veloce evoluzione. Il tumore polmonare in epoca pre-industriale era una neoplasia rara, superata di gran lunga come frequenza da quella gastrica, il “cancro” per eccellenza. Questo stato di cose si mantenne fino all’invenzione del frigorifero e alla possibilità di conservare i cibi senza i fenomeni degenerativi e putrefattivi che favorivano la cancerogenesi alimentare.

Nell’odierno mondo industrializzato i tumori polmonari sono favoriti dall’inquinamento e dal fumo di tabacco. Dobbiamo supporre che nel Medioevo, con un minore inquinamento ambientale e in assenza delle sigarette, questi tumori fossero molto più rari. La storia clinica di Alessio appare suggestiva per un tumore polmonare molto aggressivo ed a rapida evoluzione. Anche un sarcoma con metastasi polmonari avrebbe avuto un andamento simile e non sarebbe stato influenzato dall’inquinamento atmosferico e tanto meno dal tabacco che non erano presenti nella Bisanzio del XII secolo.

Cortigiane di Bisanzio in un mosaico della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo di Ravenna

Si possono considerare come inevitabili le tappe del decorso della malattia. Assistiamo alle conseguenze del formarsi di un versamento ascitico di grande entità e di vistosi edemi declivi. Compaiono i segni della compressione mediastinica dovuta al tumore che si espandeva all’interno della gabbia toracica e nel mediastino. Si giunse infine a un aggravamento della dispnea (non esistevano ovviamente i cortisonici per alleviare tale sintomo), mentre anche i cibi trovavano difficoltà a essere deglutiti.
Anna ricorse all’uso delle pappe per rendere più facile l’alimentazione, ma si trattò di un rimedio di scarsa efficacia. La medicina del tempo era totalmente disarmata davanti a tale malattia. I purganti, il salasso, le crudeli cauterizzazioni inquietano e fanno sorridere il lettore odierno, eppure possedevano una loro logica nel contesto di un ragionamento clinico proprio della medicina antica che prevedeva di allontanare attraverso questi presunti rimedi gli umori corrotti il cui accumulo incontrollato avrebbe causato il male.

Anche la medicina odierna si sarebbe trovata in difficoltà ad affrontare con successo una patologia come quella di Alessio I Comneno.

La fine era vicina e il ventre dell’imperatore si gonfiò per un inarrestabile versamento ascitico. Dalle metastasi trasudava un essudato tumorale, un liquido ricco di proteine che riempiva con la sua natura vischiosa le cavità tra gli organi addominali facendo gonfiare a dismisura l’addome del paziente. Al malato non restava che aspettare la morte. Questa sarebbe sopraggiunta per una sindrome epatorenale dovuta al blocco della funzione depuratrice di tali organi e causata dalle sostanze tossiche prodotte dalla neoplasia che l’organismo non riusciva più ad allontanare. Oppure si sarebbe verificata un’embolia cerebrale provocata dal distaccarsi di cellule neoplastiche dalla massa tumorale principale che sarebbero andate a occludere un vaso sanguigno del cervello. Così ne scrisse Anna Comnena:

…Ormai non c’era per noi che disorientamento e rabbia. Il caos regnava negli affari del regno, la paura e il pericolo si erano addensati sul nostro capo. Tuttavia, pure in mezzo alle gravi difficoltà che ci minacciavano, la Basilissa mia madre conservava sempre il suo sangue freddo. Fu soprattutto in questo momento che ella diede prova del suo coraggio poiché affrontò la durezza del suo destino comportandosi come un atleta olimpico e lottando senza paura contro dolori tanto intensi. Aveva l’anima ferita e il cuore angosciato alla vista del coniuge in quello stato, ma si tratteneva dal disperarsi e rimaneva apparentemente imperturbabile in quei terribili frangenti. Nonostante avesse ricevuto duri colpi e nonostante l’angoscia la dilaniasse sino alle midolla, mia madre resisteva. Piangeva spesso, mentre la bellezza del suo viso si appannava e tutto il suo spirito era come sospeso alle lacrime. La mattina del quindici di agosto, un giovedì, il giorno della festa della Dormizione della Vergine Immacolata Madre di Dio, alcuni medici avevano unto la testa dell’imperatore con dei balsami ritenendo di fare cosa buona. Poi erano tornati nelle loro stanze e non senza ragione, non dovendo affrontare una necessità immediata e perché erano consapevoli della fine imminente che sovrastava ormai l’imperatore. Erano presenti i tre maggiori esponenti del collegio dei medici: l’incomparabile Nicola Kallikle per primo, come secondo Michele Pantecne, che deve il suo soprannome alla famiglia di provenienza e infine il libico Michele, eunuco di condizione. L’imperatrice, attorniata da un gruppo di parenti che volevano spingerla a prendere del cibo, se ne stava senza dormire da molto tempo e aveva trascorso intere notti senza alcun riposo a vegliare il marito.
Ella stava per acconsentire, quando un ultimo collasso colpì duramente l’imperatore. Irene comprese all’istante ciò che stava accadendo. Dopo aver aspettato ansiosamente e inutilmente che l’ultima scintilla di vita abbandonasse il marito, si gettò per terra senza smettere di lamentarsi, di battersi il petto e di maledire le disgrazie che si accanivano contro di lei. Avrebbe voluto esalare anch’essa il suo ultimo respiro insieme ad Alessio, ma non gli fu concesso…
(Alessiade, XV, XI, 12-13)

A questo punto, Anna fa intervenire il padre, con un espediente narrativo che appare di tipo più letterario che realistico e storico. Alessio, trovando non si sa dove l’energia, rivolse alla moglie quest’ultimo appello:

… Perché, disse, ti lasci così prendere dal dolore a causa della mia prossima fine e mi costringi quasi ad anticipare una morte imminente? Perché non pensi a te stessa ed ai terribili pericoli che ti minacciano, al posto di lasciarti andare in questo modo all’oceano di sofferenza che ti sta sommergendo? Così, dicendo queste cose alla moglie egli approfondiva ancora di più la piaga del suo male…
(Alessiade, XV, XI, 14)

Anna prosegue il racconto con l’esame del proprio stato d’animo e nonostante il dolore del momento sa trovare accenti descrittivi della situazione d’interesse quasi scientifico e razionale:

… Dal mio canto ero in preda a sentimenti contrastanti, non stavo meglio dei matti ed ero completamente smarrita nella sofferenza. E poiché Dio tutto vede e conosce di ciò ne faccio giuramento solenne davanti ai miei cari ancora in vita ed a coloro che leggeranno nei tempi a venire questa storia. Arrivata fino a quel momento senza il consueto soccorso della filosofia, dell’eloquenza e della cultura, mi dovevo occupare di mio padre e delle cure da prestargli, osservando i movimenti del suo polso e il suo respiro, oppure volgendo l’attenzione a mia madre per donarle un po’ di conforto …
(Alessiade, XV, XI, 15)

Sono gli ultimi istanti della vita di Alessio Comneno. Uno dopo l’altro si succedono nel paziente diversi episodi sincopali, forse dovuti alla presenza di metastasi cerebrali, forse al succedersi di embolie neoplastiche terminali, mentre le persone a lui più care lo circondano di premure e di lamenti:

… Nel frattempo egli si era ripreso da una seconda sincope grazie a dell’acqua fredda e all’essenza di rose con cui l’aveva asperso la mia cara sorella Maria, che comandò di fare lo stesso a nostra madre. Ma improvvisa gli sovvenne una nuova sincope. Su consiglio di coloro che si occupavano di sorvegliare le condizioni del malato parve buona cosa cambiare ancora una volta la collocazione del letto del Basileus. Trasportammo allora l’imperatore ansimante in una diversa e più elevata parte del palazzo, dove vi era un dislivello di quattro piani, sperando che il fargli respirare dell’aria più fresca gli avrebbe fatto riprendere conoscenza… Nel frattempo l’erede al trono [il futuro Giovanni II Comneno, il fratello minore di Anna] si era già ritirato segretamente nei suoi appartamenti. Si rendeva conto dello stato disperato del padre ed era uscito di gran carriera da quelle stanze dopo essersi impadronito del sigillo imperiale. Egli aspirava infatti a prendere possesso del potere regale…
(Alessiade, XV, XI, 16, 17)

Si delinea così il quadro conclusivo della fine dell’imperatore. Vegliato dalla moglie Irene e dalle figlie Anna e Maria, Alessio muore sommessamente e senza particolari discorsi di commiato. La figlia prediletta Anna tiene la sua mano fino all’ultimo, un gesto che compie con quella speciale lucidità critica dovuta alla disciplina di lunghi anni di studio e che la spinge ad apprezzare con distacco quasi professionale la frequenza e l’intensità del polso del padre:

…Misi ancora una volta la mia mano sul suo polso e osservai i movimenti delle pulsazioni… L’imperatrice mia madre mi faceva spesso segno in quei momenti, perché desiderava che indicassi le condizioni del battito. Lo toccai ancora… ma quando mi accorsi che ciò che rimaneva della sua forza si andava spegnendo lentamente e che la circolazione del sangue nelle sue arterie si era infine arrestata, allora girai il capo stremata e barcollante e guardai a terra, senza dire più nulla. Mi coprii il viso con le mani e facendo un passo indietro scoppiai in lacrime. Mia madre comprese il significato di questo gesto e presa dalla disperazione lanciò allora un acuto urlo di dolore che risuonò fino alle stanze più lontane…
(Alessiade, XV, XI, 19)

Giovanni II Comneno figlio primogenito di Alessio I Comneno, che salì al trono dopo la morte del padre (Santa Sofia, Istanbul)

Dopo questo momento tragico il racconto dell’Alessiade si chiude rapidamente, quasi Anna non abbia più trovato in sé le forze per scrivere e aggiungere dolore a dolore e angoscia ad angoscia, evocando ricordi per lei tanto tristi. La principessa scrisse infatti questa vicenda molti anni dopo gli avvenimenti da lei narrati, nella solitudine di un convento più simile a una prigione in cui il fratello Giovanni l’aveva relegata dopo un tentativo di colpo di stato da lei stessa aveva ordito con la complicità della madre e dei suoi fratelli.

Poco tempo dopo la morte del padre Anna aveva tentato infatti di mettere sul trono il marito, il generale e storico Niceforo Briennio e di far uccidere il fratello Giovanni con il parere favorevole della madre Irene. La congiura era però fallita per la lealtà di Briennio che aveva rifiutato la porpora imperiale e aveva avvertito della congiura suo cognato Giovanni II Comneno (1118-1143). Questi, con una magnanimità inusuale dati i tempi, si era limitato a far rinchiudere in un monastero la sorella e la madre. Come si vede, la conquista del potere non risparmiava nemmeno i più consueti e sacri affetti familiari. Nella solitudine forzata della sua reclusione monastica Anna Comnena visse per molti anni con l’unica ed esigente compagnia di pensieri, ricordi e inevitabili rimpianti:

… Dopo la morte di mio padre e di mia madre, la perdita di mio marito, il Cesare Briennio e i tormenti delle ingiustizie da me subite, angherie che sarebbero state sufficienti a frantumare la mia anima oltre che il mio corpo…[…]
…Tuttavia, simili a fiumi che scendano da alte montagne, i flutti delle mie disgrazie sono come un torrente che sommerge la mia casa…
Finisco dunque di scrivere questa storia per paura che continuando a descrivere le mie pene non farei che suscitarne ancora una volta l’amarezza.
(Alessiade, XV, XI, 24)

Manoscritto dell’Alessiade conservato nella Biblioteca Laurenziana di Firenze

Così termina il testo. Solo la morte e il dolore rimangono a segnare la scrittura di Anna. Un dolore che ella non ha alcuna remora di condividere con il lettore in tutta la sua intensità, dimenticando il rango e il ruolo sociale ricoperto. In questa fusione tra il piano narrativo degli avvenimenti storici e quello della più intima e disperante delle tragedie private risiede l’assoluta originalità letteraria dell’Alessiade, il suo splendore narrativo e l’irripetibilità dei caratteri del testo. Il libro di Anna esce da una dimensione puramente storica e diventa il diario di una vita eccezionale. Una testimonianza del potere visto dal di dentro e insieme del dolore di un’anima di donna e di scrittrice sempre uguale e sempre diversa e nuova per ogni lettore.

Abbiamo visto come nelle prime fasi del manifestarsi del male il prodigarsi dei medici appaia assiduo e caratterizzato da un ampio dibattito clinico su quale dovesse essere la condotta terapeutica più idonea da seguire, un dibattito cui non era estranea la principessa.

Poi, mano a mano che avanzava la malattia, il ruolo degli Asclepiadi, come chiama i medici Anna Comnena, diventa meno importante. La famiglia di Alessio, con l’imperatrice Irene e le due figlie Anna e Maria in primo piano, assume un’importanza progressivamente maggiore nel definire e regolare l’assistenza all’infermo. I medici rimangono sullo sfondo, pronti a essere chiamati in caso di aggravamenti repentini, ma sostenitori di un progressivo astensionismo terapeutico, quasi si rendessero conto di non potere influire minimamente sul decorso del male. La scarsa aggressività terapeutica nei confronti dei pazienti terminali costituisce una costante del bagaglio culturale dei medici antichi, presente fin dagli insegnamenti di Ippocrate.

L’insistenza terapeutica eccessiva verso i moribondi veniva infatti considerata un atto di hybris, di orgoglio empio, sia nei confronti della natura che degli stessi Dei. Quest’attitudine a non forzare troppo il decorso naturale delle malattie si ripresenta spesso nel comportamento dei medici bizantini che sembrano seguirla con una certa fedeltà, come appare dall’analisi delle circostanze relative alle morti di tre importanti imperatori: Giustiniano I (527-565 d.C.), Alessio I Comneno (1081-1118) e infine Andronico III Paleologo (1297-1341).

Naturalmente l’etica cristiana praticata a Bisanzio mascherava bene quest’ideologia ereditata dal paganesimo e dalla medicina del mondo classico, ma l’astensionismo terapeutico nei confronti del malato terminale, per la verità quanto mai opportuno vista la frequente impotenza delle cure mediche del tempo, aveva radici antiche che la tradizione cristiana di Bisanzio non aveva modificato.

Anna Comnena in un ritratto di fantasia

Alessio I Comneno morì il 15 agosto del 1118. Rimane il sentimento di ammirazione per l’intelligenza, la cultura e la sensibilità di Anna Comnena, unito allo sconcerto per certi lati del suo carattere e della personalità improntati a una gratuita crudeltà di giudizi e di intenzioni.

Anna ci ha permesso di conoscere in modo autorevole momenti importanti della storia del suo tempo e con essi ci ha donato come effetto collaterale anche una visione lucida e documentata della pratica della medicina a Bisanzio. Attraverso la lettura delle pagine dell’Alessiade il dolore che la principessa ha attraversato nel corso della sua esistenza, le colpe di cui si è resa partecipe e gli avvenimenti, gli intrighi e i personaggi importanti che essa ha incontrato, rivivono con precisione e forza davanti ai nostri occhi. Sono come i personaggi di quelle meravigliose sete bizantine di cui ci rimangono pochi frammenti dispersi in qualche museo.

Tessuti che attraggono lo sguardo con la loro magnificenza e contemporaneamente deludono, perché se ne vorrebbero avere a disposizione dei tratti più ampi e meglio conservati, in grado di soddisfare la curiosità e placare il sentimento di bellezza perduta che suscitano nella loro drammatica incompletezza. Sono testimoni silenziosi di un’altra epoca e di un altro mondo, mentre le pagine della principessa bizantina rendono manifesti ancora una volta la complessità, la miseria e lo splendore di cui è intessuta quella che, con una suggestiva definizione, Anna Comnena chiamava “la stoffa della verità”.

Federico E. Perozziello

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