Tra le donne evangeliche in Occidente è forse la più conosciuta, a parte Maria madre di Gesù, ed è la più misconosciuta e falsificata. Tuttavia, a suo modo, anche molto amata dal popolo cristiano, per ragioni tradizionali e simboliche che con i Vangeli hanno poco a che fare; e perciò anche molto raffigurata, molto raccontata: sappiamo quanti dipinti, dal Medioevo all’Ottocento (e poi, nell’ultimo secolo, quanti film sulla vita di Cristo), hanno contribuito a consolidarne l’immagine erronea. Per questo viene automaticamente associata a due elementi visivi fissi, cioè i lunghi capelli sempre e spesso, nei dipinti, anche un vaso.
In termini evangelici, però, capelli e vaso hanno a che fare non con lei, bensì con un altro personaggio affascinante, enigmatico, molteplice: la donna che unse Gesù, dal quarto evangelista identificata con un’altra Maria, quella di Betania, sorella di Marta e di Lazzaro. Invece per Marco/Matteo rimane senza nome e Luca presenta come autrice dell’unzione una peccatrice galilea, ugualmente anonima.
Per questo, oltre che con la peccatrice, Maria di Magdala viene identificata anche con Maria di Betania, in Occidente; mentre l’Oriente cristiano ha sempre distinto le tre donne evangeliche. Anzi, Maria di Betania, tradizionalmente letta come prototipo delle mistiche, diventa la Maddalena “dopo la cura”, e pazienza per la geografia. Infatti Magdala, cioè Migdal, si trova in Galilea, sul lago di Tiberiade; Betania invece in Giudea, è praticamente un sobborgo di Gerusalemme, e non si capisce davvero come facesse a essere “di Magdala” una che era “di Betania”.
Maria di Magdala nella chiesa d’Occidente ha perduto il suo autentico volto evangelico di discepola e di apostola, e ha acquisito un volto immaginario in cui si fondono i caratteri spirituali di tre donne dei Vangeli, tra loro ben diverse. Avere tre volti è abbastanza prossimo al non averne nessuno, l’eccesso di valenza simbolica rende evanescente la persona.
Tornando ai simboli visivi, i capelli evocano la sessualità, e per questo le donne ebree avevano l’obbligo sociale e religioso di non mostrarsi mai in pubblico a testa scoperta: trasgredire l’obbligo equivaleva a una sorta di adulterio, e poteva costituire un valido motivo di ripudio. Anche il vaso in termini simbolici è un simbolo di femminilità, evoca la rotondità dei fianchi e la destinazione materna del corpo femminile. L’immediato riferimento visivo non si verifica per nessun’altra donna; nemmeno per la madre di Gesù, che resta nell’immaginario come avvolta da un nimbo di bellezza-luce, amorevolezza e castità, senza particolari esteriori che possano connotarla, a parte il velo.
Già, il velo: nell’iconografia tradizionale è rarissimo che Maria di Magdala lo porti. Questo, certo, perché si devono vedere i capelli lunghi, e anche perché la testa coperta è attributo della donna regolare e rispettabile, in gran parte del mondo antico (ma anche moderno, fino a tempi non troppo remoti).
Tutti credono di conoscere la Maddalena, almeno per sentito dire; in realtà quasi nessuno, se non ha qualche conoscenza scritturistica di prima mano, conosce il personaggio evangelico, la discepola prediletta e autorevole, la prima testimone della Resurrezione.
Il suo ruolo nell’evento di Gesù è assolutamente unico, e possiamo trovarne una prova (molto discreta, ma di grande significato) nel fatto che sia nominata più di qualsiasi altra donna della cerchia di Gesù, e sempre al primo posto: questo genere di precedenze non è irrilevante nella Scrittura. Proprio questa singolare dignità evangelica rende tanto più strano il destino riservatole nella tradizione cristiana.
L’unico tra gli evangelisti che nomini Maria di Magdala prima della crocifissione di Gesù è Luca (8,1-3), nel breve ma fondamentale passo riguardante le discepole galilee. Di queste donne dice cumulativamente due cose molto importanti: 1) che erano state guarite da spiriti maligni e da infermità; 2) che aiutavano con i loro beni il gruppo itinerante. Ciò significa che dovevano essere abbastanza ricche e – cosa singolare per quei tempi – anche abbastanza libere di disporre dei propri beni, oltre che della propria esistenza.
Di Maria di Magdala in particolare viene detto che era stata liberata da ben sette demoni. Il sette nella cultura ebraica esprime la pienezza. Secondo l’evangelista quindi Maria di Magdala proveniva da una grave realtà di malattia. Forse psicosomatica, come diremmo noi oggi – ma quale malattia non lo è?
Gli altri tre evangelisti ricordano per la prima volta le donne seguaci di Gesù nel momento della crocifissione e della sepoltura, e poi nei racconti pasquali. I vari racconti non coincidono nei particolari, fuorché appunto per la presenza di Maria di Magdala, per il suo ruolo di testimone. In quel momento supremo, le donne vengono nominate dagli evangelisti come persone ben note: evidentemente si vuole intendere che non compaiono in questo momento per la prima volta. E se devono esser nominate in quel momento non è per scrupolo di completezza o per rendere omaggio al loro amore e alla loro fedeltà, o per altre ragioni “moderne” dello stesso genere; solo perché era necessario – e di solito a questo aspetto non si presta sufficiente attenzione. Chi raccontava la morte di Gesù e la sua vittoria sulla morte, parlando o scrivendo, non poteva rifarsi alla testimonianza dei discepoli maschi, i quali non c’erano perché erano fuggiti nel momento dell’arresto del loro Rabbi (un fatto doloroso, poco onorevole, ma evidentemente conosciuto da tutti). Perciò diventava inevitabile rifarsi alla testimonianza delle donne; quantunque le donne in Israele non fossero abilitate a testimoniare.
Va sottolineato che, se i discepoli maschi di Gesù non fossero fuggiti, le discepole certo sarebbero state lì ugualmente; ma noi oggi non sapremmo della loro presenza, perché gli evangelisti non avrebbero considerato essenziale rilevarla. Così come è avvenuto con la presenza delle donne all’ultima Cena.
Da alcuni vangeli apocrifi di tinta gnostica e di elevata qualità spirituale (come il Vangelo di Maria e il Vangelo di Tommaso), che sono significativi pur se non possono venir considerati fonti storicamente attendibili, si ricava l’impressione che qualche perplessità e qualche gelosia a riguardo del ruolo privilegiato e autorevole di Maria di Magdala potesse esistere già all’interno della cerchia dei discepoli di Gesù.
L’equivoco, che comincia a farsi sentire fin dai primi secoli, viene consolidato, praticamente ufficializzato, a partire dal V secolo. Determinante risulta la responsabilità di papa Gregorio Magno: il quale, oltre a “chiarire” definitivamente la presunta identità di Maria di Magdala con la sorella di Lazzaro e con la peccatrice (chiarimento che confonderà la questione per molti secoli), plasma la fisionomia leggendaria della Maddalena leggendo i sette demoni di cui parla Luca come emblema dei sette peccati capitali: “Septem ergo daemonia Maria habuit quod universis vitiis plena fuit” (Maria dunque aveva sette demoni, nel senso che era piena di tutti i peccati). Con ciò l’immagine della Grande Peccatrice è fatta e finita, bollata dalla grandissima autorità di Gregorio e consegnata al futuro. Resisterà, in Occidente, per quasi un millennio e mezzo.
Uno sbaglio di esegesi, d’accordo; che però non sarebbe potuto avvenire, e soprattutto non sarebbe durato così a lungo, se l’humus ideologico e psicologico non fosse stato favorevole. Una donna irregolare, peccatrice (prostituta, visto che i peccati sessuali sembrano gli unici che possano avere rilevanza morale e sociale, per una donna), poi pentita e redenta attraverso fiumi di lacrime e – secondo la leggenda, il cui peso qui supera quello dei Vangeli – abissi di umiliazione e decenni di assurda penitenza postpasquale, rientra negli schemi patriarcali e li consolida, perciò è edificante ed è “bella”. Invece una donna che sia discepola prediletta di Gesù durante la vita pubblica di lui e poi annunciatrice della sua resurrezione, dunque apostola, è scomoda, disturba nel profondo.
Questa confusione oggi è superata, ufficialmente: ma più nella teoria che negli effetti. Superata dagli studiosi, dai teologi (dai protestanti con circa un secolo di anticipo rispetto ai cattolici, perché i protestanti erano più abituati al confronto personale con la Scrittura e meno condizionati dal peso della tradizione); non però dalla massa dei fedeli, e neppure da tutti i pastori. Ancora in certe omelie, quando capita di parlare di Maria di Magdala – ma capita poco, rispetto a quella che dovette essere la sua rilevanza nella vicenda di Gesù – , il suo volto reale di discepola viene oscurato dal volto immaginario di peccatrice; e quando si legge il racconto lucano della peccatrice, ancora qualche predicatore cede alla tentazione di chiamare Maddalena quella donna!
Una volta nel calendario liturgico della chiesa cattolica Maria di Magdala era etichettata come “penitente”. Oggi non più. Ma chi ha il coraggio di chiamarla seriamente “apostola”? Il termine non viene usato se non in funzione analogica, lirica, suggestiva…, comunque accuratamente svuotato di qualsiasi effettiva risonanza ecclesiale. L’appellativo di confessore della fede non ha il femminile. Le donne sante erano (e sono) ancora poche e poco rilevanti, all’infuori dei paradigmi fissi della verginità o del martirio.
Eppure anche Agostino, certo non sospettabile di eccessive compiacenze a riguardo delle donne, chiama apostola Maria di Magdala: anzi, apostola apostolorum, seguendo Giovanni 20, 1-18. “Apostola degli apostoli”, nel senso che riceve da Gesù un incarico apostolico nei confronti di quelli stessi che noi chiamiamo apostoli; ma per chi abbia anche solo orecchiato un po’ la lingua ebraica e il suo modo di formare il superlativo, potrebbe anche aleggiarvi qualcosa come “la più apostola di tutti”…
Lilia Sebastiani
(da Adesso n.38)