Il Mediterraneo non è solo geografia, ricordava lo scrittore Predrag Matvejevitć.
Risalendo alla definizione di “mare salato” dei Greci, che per primi lo definirono ἅλς, cioè “sale”, Roberta Morosini nel libro Il mare salato. Il Mediterraneo di Dante, Petrarca e Boccaccio, (Viella, 2020) prova a “leggere” il Mediterraneo come spazio letterario.
Qual è il ruolo del mare nella Commedia di Dante? Come viene rappresentato e cosa significa per Petrarca? E come ne parla Boccaccio?
In un appassionante viaggio tra testo e immagine, il libro analizza e ricostruisce questi tre modi diversi di vedere il Mediterraneo.
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Se si pensa alla definizione di Mediterraneo in termini di medium terre tenens, adottata anche dalla storiografia italiana e che dà il titolo a un magistrale studio di Cyprian Broodbank, essa tiene principalmente conto dei popoli che vivono sulle sue coste: uno spazio uniforme, abitato da culture simili per quel che riguarda le loro abitudini, lingue, credo religioso, attività economiche, forme di organizzazione politica.
Non c’è un vero tentativo di concettualizzare quel mare, come per esempio avviene nel Phaedo di Platone, dove Socrate parla di un lacus, cioè uno stagno, intorno al quale vivono rane e formiche.
La parola mediterraneus cominciò ad essere usata con il suo significato marittimo – cioè “mare interno”, situato “tra le terre” – solo molti anni dopo.
La troviamo, per esempio, nei Collectanea rerum memorabilium di Solino, che fa riferimento a un passo dalla Naturalis historia di Plinio il Vecchio: Plinio si chiede da dove provenissero i maria omnia interiora; Solino riformula le parole di Plinio, cambiando la frase in unde maria mediterranea caput tollant. Isidoro invece, chiama il Mediterraneo mare magnum, specificando che attraversa l’Europa, l’Africa e l’Asia.
Giovanni Balbi – fa notare Antonio Musarra – contò in toto orbe habitabili almeno trenta bacini marittimi simili. Solo in seguito finì per spiegare la parola mediterraneus nei termini di medium e terra uniti dal verbo teneo: di conseguenza, mediterraneus veniva usato per quel mare “che quasi occupava il centro della terra”.
Anche per Boccaccio è così:
Mediterraneum mare et id rudibus demonstrandum est. Est enim quicquid maris ab Abyla Mauritanie et Calpe Hispanie promontoriis, Herculis columnis, ab Occeano immissi habemus; eo Mediterraneum nuncupatum quia per medias effundatur terras, cum in circuitu stet Occeanus.
(Mediterraneum mare, in De diversis nominibus maris, VII)
Non alieni dalla nostra analisi del Mediterraneo come “valle d’acqua” sono i suoi discordanti lidi, intesi qui come volle Virgilio quali litora litoribus contraria (Aen. IV 628), a significare cioè la ricchezza che risiede nella diversità dei popoli e delle loro religioni, che va al di là del mero dato geografico e geo-fisico.
Del resto, in una delle prime genealogie marittime, Isidoro di Siviglia faceva notare che i mari prendono il nome dei popoli che vivono sulle loro rive (a gentibus), “dalle isole” vicine, “dai destini umani” conservati dalla memoria, “in ricordo dei sovrani”, “secondo i costumi degli abitanti” o “dalla transumanza dei buoi” (a bovis transit-Bosphores).
Roberta Morosini
Roberta Morosini
Il mare salato. Il Mediterraneo di Dante, Petrarca e Boccaccio
Viella, 2020