Nocera Umbra, il tesoro longobardo

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La cittadina di Nocera Umbra fu sede anche di una Arimannia già dalla prima invasione longobarda. Era formata da famiglie di guerrieri nobili e molto ricchi, dei quali alla fine dell’Ottocento è stata trovata una vasta necropoli

Nel febbraio del 1897, a Nocera Umbra (Perugia), un bracciante di nome Salvatore Tosti si rese protagonista di una delle scoperte archeologiche più importanti di sempre per quanto concerne l’Alto Medioevo.

Smuovendo la terra per mettere a dimora le viti sui terreni di proprietà della famiglia Blasi in località “Il Portone”, riportò alla luce una serie di oggetti parsi subito notevoli: una croce in lamina d’oro, una spada con impugnatura anch’essa dorata, un umbone di scudo, vari puntali, resti di una guarnizione di cintura.

Erano anni in cui l’archeologia, di impostazione classicista, si andava confrontando con i primi ritrovamenti rilevanti di età barbarica e longobarda: nel 1874 era emersa infatti a Cividale del Friuli (Udine) la cosiddetta “tomba di Gisulfo”, attribuita frettolosamente al primo duca del Friuli; quattro anni più tardi a Testona, frazione di Moncalieri (Torino) era stata trovata una serie di circa 350 sepolture; ancora, nel 1885 quattro tombe vennero alla luce in località “al Foss” nei pressi di Civezzano, in Trentino; infine, nel 1893 a Castel Trosino, nei pressi di Ascoli Piceno, la ricchissima necropoli di Contrada Santo Stefano, che si era aggiunta alle tombe emerse una ventina d’anni prima in contrada Pedata, tra cui quella di un cavaliere.

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Una delle preziose fibule longobarde rinvenute a Nocera Umbra, ora al museo dell’Alto Medioevo di Roma

Salvatore Tosti portò a casa il tesoro e non ne fece parola. Tuttavia, la voce giunse ugualmente alla Sottoprefettura di Foligno, che l’11 febbraio inviò al sindaco nocerino un telegramma in cui si chiedeva – lo si legge nel verbale del brigadiere Angelo Noco – “il sequestro di oggetti di antichità e di pregio artistico rinvenuti in territorio fra Gualdo Tadino e Nocera Umbra”. All’arrivo delle autorità, il bracciante cercò di minimizzare, mostrando ai carabinieri soltanto “due ferri formanti lo scheletro di una sedia a branda”. A smascherarlo, e a rivelare la vera entità della scoperta, furono però alcuni orefici locali ai quali aveva cercato di vendere i preziosi.

I lavori proseguirono nei mesi successivi, stavolta sotto la sorveglianza dell’Arma dei Carabinieri, e portarono alla luce nuovi reperti. Gli scavi veri e propri, però, iniziarono solo nel marzo del 1898 sotto la guida dell’Ispettore archeologo Angiolo Pasqui con il fondamentale contributo del disegnatore Enrico Stefani, cui si deve la fedele riproduzione di tutti gli oggetti.

L’acquisizione definitiva Per evitarne la dispersione sul mercato antiquario, l’allora Direttore Generale delle Antichità e delle Belle Arti, Felice Bernabei, ne promosse la catalogazione sistematica e l’acquisizione da parte dello Stato, liquidando ai proprietari dei terreni del Portone la somma di 24mila lire.

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Un’ altra fibula della necropoli di Nocera Umbra (Museo dell’Alto Medioevo, Roma)

Il tesoro di Nocera Umbra poté così giungere a Roma, dapprima al Museo Nazionale Romano e poi (1967) al Museo dell’Alto Medioevo, dove oggi è esposto accanto a quello di Castel Trosino e ad altri materiali riordinati e restaurati tra il 1975 e il 1978. Una piccola parte dei corredi trova posto inoltre nel Museo dell’Alto Medioevo di Spoleto e al Museo Archeologico di Nocera.

Considerando anche i successivi ritrovamenti di Pettinara-Casale Lozzi e piazza Medaglie d’oro, in tutto la necropoli nocerina consta di 165 tombe raggruppate in quattro insiemi forse riconducibili ad altrettante fare, i gruppi familiari allargati che occuparono l’Italia nella prima fase dell’invasione. Le sepolture maschili sono caratterizzate da ricchi corredi di armi (spade, scramasax, scudi da parata eccetera), quelli femminili hanno invece corredi diversificati, il che ha fatto supporre a Cornelia Rupp, autrice del catalogo scientifico dei materiali, che il nucleo longobardo insediatosi in questo importante snodo lungo la via Flaminia tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo abbia interagito con il locale gruppo “romanzo” stemperando progressivamente i propri caratteri “germanici”.

Il sito però fu abbandonato prima della fine del processo di acculturazione lasciando aperti vari quesiti, il più intrigante dei quali è il luogo esatto di insediamento: l’abitato di questa comunità longobarda, caratterizzata da una particolare dedizione alle attività artigianali (produzione di spade, sia da guerra che da tessitura, e di ceramiche) non è stato infatti ancora trovato.

Elena Percivaldi
da Medioevo n. 246 (luglio 2017). © Elena Percivaldi / Medioevo. Riproduzione vietata.