Processo a Colombo, scoperta o sterminio?

“Speravamo di non vedere più scene del genere. Credevamo che l’abbattere statue fosse roba da Talebani. Da pseudo-stato islamico. Invece, è quanto accade, oggi, nella “civilissima” America, decisa a cancellare ogni tributo all’illustre genovese. Certo, Colombo ha le sue colpe. Fu, senz’altro, uno schiavista. Non meno di molti suoi contemporanei. Le fonti ne hanno rivelato i metodi brutali. Ma basta, questo, per decretarne la damnatio memoriae? O, piuttosto, le sue raffigurazioni possono fungere da monito? Su Colombo v’è ancora molta confusione: uomo del medioevo, uomo del rinascimento, uomo di scienza, cattivo amministratore, assetato d’oro e di ricchezze, fervente crociato, brutale assassino. Può darsi che qualcuna di queste definizioni gli sia confacente, anche se il nostro non è certo uno che si lascia incasellare. Ma ch’egli si sia macchiato d’un vero genocidio significa, forse, travisare i fatti. Ciò non vuol dire, tuttavia, ch’egli non possa assurgere a simbolo della sete di conquista dell’uomo bianco. Ad altri queste valutazioni. A noi interessa soltanto mettere un po’ d’ordine”.

Antonio Musarra

Antonio Musarra

Antonio Musarra (1983) è assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Firenze. Si occupa di storia del Mediterraneo, di storia delle crociate, di storia marittima e navale e di storia politica, economica e sociale delle città italiane in età medievale. Tra le sue pubblicazioni: “Genova e il mare nel Medioevo”, Bologna, Il Mulino, 2015; Acri 1291. La caduta degli stati crociati, Bologna, Il Mulino, 2017; 1284. “La battaglia della Meloria”, Roma-Bari, Laterza, 2018; “Il crepuscolo della crociata. L’Occidente e la perdita della Terrasanta”, Bologna, Il Mulino, 2018. Ultima fatica “Processo a Colombo. Scoperta o sterminio?”, Viareggio, Edizioni La Vela, 2018.

Navigatore, avventuriero, assassino e schiavista: chi era Colombo?

«Cristoforo Colombo non è, certo, un tipo che si lascia incasellare. Tutt’oggi non è possibile affermare l’esistenza d’un consenso unanime in merito alla sua poliedrica personalità. Numerosissimi particolari della sua biografia – il luogo e la data di nascita (ma, fidatevi: era genovese!), la professione: (sua e della famiglia), il credo religioso, la cultura, le aspirazioni, l’eredità – sono ancora dibattuti. Da qualche decina d’anni, a ogni modo, la sua figura è stata sottoposta a revisione. Da eroico scopritore delle Americhe si è passati a sottolinearne la brutalità, sino a ritenerlo il primo dei conquistadores. Siamo lontani dai tempi in cui lo si voleva innalzare agli onori degli altari. Per non parlare della disputa – sterile – tra coloro che vedevano in lui un uomo già in qualche maniera “moderno” e chi, invece, ne sottolineava con forza l’ancoraggio al Medioevo. Oggi, queste discussioni hanno lasciato il passo a ben altro. Ma su una cosa possiamo essere certi. Colombo non era che un uomo del proprio tempo. Un tempo denso di contraddizioni e proprio per questo affascinante».

Quali sono le accuse mosse al genovese? Quella di genocidio appare eccessiva!

«In effetti, l’accusa appare, oltre ch’eccessiva, del tutto gratuita. Le fonti – i documenti, le cronache, perfino le scritture contabili – ci dicono ch’egli aveva in animo di compiere un’impresa mai tentata prima se non, forse, dai genovesi Vivaldi, spintisi nel “mare Oceano” nel lontano 1291 con l’intenzione di raggiungere le Indie praticando una rotta occidentale (probabilmente, circumnavigando l’Africa; e qui troviamo già, «il buscar el Levante por el Poniente» del navigatore). Tuttavia, i documenti ci dicono anche ch’egli cercava l’oro e commerciava in schiavi (non diversamente da molti suoi contemporanei; indios compresi). Che comminò mutilazioni e condanne a morte (ma nei confronti dei coloni spagnoli, come mostrano gli atti del processo intentato nei suoi confronti nel 1500). Che si macchiò di vari crimini a danno dei nativi (generalmente, di quelli a lui ostili). Ma che non gli passò mai per la testa di sterminare sistematicamente la popolazione mesoamericana. Questo, semmai, sarebbe venuto dopo. Insomma: Colombo non era, certo, un santo. Forse avrebbe fatto la sua sporca figura come pendaglio da forca. Senza dubbio, non fu un genocida».

Un busto è stato decapitato, una statua è stata rimossa. Come nasce quest’idea di processare e condannare alla dannazione della memoria il navigatore genovese?

«La genesi di tutto ciò è relativamente recente. Qualche avvisaglia s’era avuta negli anni Cinquanta; ma è soprattutto a seguito della grande stagione di studi inaugurata in concomitanza col quinto centenario della “scoperta”, nel 1992, che il navigatore ha iniziato a essere spogliato – e, dico io, per fortuna – dei tratti eroici di cui era ammantato. Ma, forse, con un eccesso di revisionismo (per carità: operazione sacrosanta, quando non ideologicamente orientata). Si è voluto sostituire la “scoperta” alla “conquista”, ma troppo repentinamente. Facendo di tutta l’erba un fascio. Al di là dei molti meriti che nuova lettura anti-eroica, senza dubbio, possiede, l’errore è stato quello d’accomunare Colombo e i conquistadores, facendone il prototipo di quelle masnade più o meno incontrollate che, effettivamente, perpetrarono stragi e massacri. Tutto ciò ha favorito il formarsi d’una coscienza favorevole alla condanna del navigatore, sviluppatasi in molti modi: nella deturpazione delle statue, nel loro abbattimento, nell’abolizione del Columbus Day – la festa degli italiani; la festa del contributo italiano alla crescita della nazione americana – in quella che si configura, oggi, come una vera e propria damnatio memoriae».

“Processo a Colombo”: da quali presupposti parte e a quali conclusioni arriva?

«In Processo a Colombo ho tentato di comprendere il motivo – se si vuole, la genesi – di tale repentino mutamento d’opinione; non solo in sede storiografica, ma anche nella mentalità dell’americano medio. Mi sono chiesto, innanzitutto, il motivo per cui Colombo sia così centrale nella storia degli Stati Uniti, ch’egli, del resto, non toccò mai. Si tratta di un rapporto relativamente recente, che si sviluppa a partire dalla fine del Settecento, quando le colonie nord-americane, resesi indipendenti, avvertirono la necessità di dotarsi di simboli propri. Al pari dei coloni nord-americani, Colomba aveva abbandonato il Vecchio Mondo per abbracciare un’esperienza nuova. Per di più, aveva subìto dai poteri forti sotto i quali aveva militato – ovvero, dai reali di Spagna – autentiche ingiustizie. In questo senso, l’Ammiraglio poteva ben assurgere a simbolo dei nuovi Americani, vessati dalla monarchia inglese, sotto la quale, invece, militavano coloro che, effettivamente, avevano esplorato il Nord America: Giovanni Caboto e Henri Hudson (Juan Ponce de Léon, lo scopritore della Florida, era ritenuto un eroe in Spagna; Giovanni da Verrazzano, che aveva raggiunto la baia di New York, era, invece, uomo di Francesco I di Francia). Di qui alla condanna della sua persona il passo è grande. Cosa è successo? Cosa c’è di vero nelle accuse di schiavismo, di razzismo, di disprezzo per il genere umano che, con sempre maggiore insistenza, sono addebitate al navigatore? La risposta è che non interessa. Colombo è assurto a simbolo della violenza colonizzatrice dell’uomo bianco. Il disinteresse per la vicenda storica non fa che nascondere, però, tutta l’incapacità statunitense di fare i conti con il proprio, di passato. Non è Colombo che interessa. Chi abbatte le statue intende abbattere un sistema che ha creato enormi sperequazioni. Solo che sbaglia obiettivo. Non è un caso se alle proteste non abbiano sinora partecipato le minoranze autoctone».

Ha senso processare la storia e i personaggi del passato con criteri propri della società contemporanea?

«Le conclusioni cui giungo rispondono esattamente a questa domanda. E vi rispondono in maniera negativa. “Processare” la storia è sempre sbagliato. Anzi, può rivelarsi perfino pericoloso. Non è compito dello storico il giudicare. Semmai, lo è il cercare di comprendere. Processo a Colombo invita a riflettere su questo. Non lasciatevi ingannare dal titolo: non si tratta d’un “processo” al navigatore ma d’un’analisi dei motivi che sottostanno al bislacco tentativo di “processare” il nostro. Il “processo” è l’oggetto».

Umberto Maiorca