Sembra quasi che ti voglia sedurre, San Rocco, con quella mano a scoprire la coscia che pare quasi la posa di una ballerina di burlesque. Ma in effetti – anche se arriva dalla terra che ha creato il Moulin Rouge – c’è poco di sensuale nel bubbone che ti mostra vicino all’inguine. Perché Rocco, patrono dei pellegrini, è un santo appestato, reietto, abbandonato, scacciato dal mondo, incarcerato e umiliato.
E sì che era destinato a ben altro futuro, il santo francese: nato tra il 1345 e il 1350 a Montpellier, in una famiglia molto ricca, come Francesco d’Assisi (che dalla terra di Rocco aveva preso il nome e la cultura) aveva deciso di distribuire tutti i suoi beni ai poveri e dalla Lingua d’Oca aveva intrapreso un lungo viaggio alla volta di Roma con l’obiettivo di visitare la tomba di San Pietro, rendere culto alla Veronica (il fazzoletto con cui – secondo la leggenda – sarebbe stato asciugato il volto di Gesù durante la via Crucis), vedere il luogo del martirio di San Paolo, entrare nelle catacombe e ammirare le famose basiliche.
Viaggiava per l’Europa con una conchiglia ricamata sul mantello per non pagare i pedaggi, da cui erano esenti solo i pellegrini.
Arrivato ad Acquapendente, a nord di Roma, sulla via Cassia, decide però di fermarsi per assistere alcuni malati di peste, e comincia ad operare – secondo la leggenda – guarigioni miracolose.
“Era sua abitudine tracciare il segno della croce sulla fronte dei malati – scrivono Alberto Pennacchioni e Giampietro Iozzia nel volume La chiesa di San Rocco a Bussolengo – ed invocare la trinità di Dio per la loro guarigione, pronunciando una formula di scongiuro diventata tradizionale”.
Giunto finalmente a Roma tra il 1367 e il 1368, rimane nella capitale della Chiesa per tre anni, sempre assistendo i malati di peste.
Inevitabilmente, finisce per ammalarsi anche lui. Il morbo lo colpisce sulla strada del ritorno, mentre si trova a Piacenza. Cacciato quindi dalla città, inizia a vagare per le campagne come i suoi compagni di sventura.
“La leggenda vuole che si rifugiasse in una grotta in località Sarmato, a circa 17 chilometri dalla città – raccontano Iozzia e Pennacchioni – qui riuscì a vincere la sete grazie ad una sorgente di acqua miracolosa”. Ancora oggi si possono vistare la grotta e la famosa fontana.
Il pellegrino, pur dissetato, muore comunque di fame e in suo soccorso arriva un cane, che diventerà il suo compagno inseparabile in tutte le raffigurazioni.
Il cagnolino appartiene a un uomo molto ricco chiamato Gottardo. Dalla tavola del padrone il cane ruba ogni giorno un pane che porta a Rocco. Insospettito dall’andirivieni dell’animale, Gottardo decide di seguirlo e incontra Rocco, di cui finisce per diventare discepolo.
Il ricco patrizio decide di seguire l’esempio del pellegrino e vende tutti i suoi beni, indossando il sacco e iniziando a mendicare l’elemosina a Piacenza.
Intanto Rocco riesce a guarire dalla peste e a sanare anche molti appestati. Lasciata la città si dirige a nord con l’intento di tornare a casa, ma quando arriva a Voghera – preso per un balordo – viene fermato e arrestato.
Interrogato dalle guardie, quando gli viene chiesto il nome risponde: “Sono un servo di Gesù Cristo e un povero pellegrino” e si rifiuta di fornire le proprie generalità. Viene così accusato di spionaggio e gettato in carcere, dove morirà di stenti dopo cinque anni.
Moribondo, chiede di essere assistito da un sacerdote, che rimane così colpito dal prigioniero, da chiedere al governatore la grazia.
“Rocco nel frattempo, venne consolato in sogno da una visione che lo avvisò che presto la sua santissima anima avrebbe riposato nel seno del padre e che prima che ciò avvenisse avrebbe potuto domandare una grazia particolare a Dio”. Lui chiede che venga concessa la salvezza a tutti i malati di qualsiasi epidemia che invochino il suo nome, in qualità di intercessore presso Gesù Cristo e la vergine Maria.
Alla sua morte i carcerieri si rendono conto del madornale errore commesso: quando il corpo di Rocco viene portato di fronte al governatore di Voghera, infatti, l’uomo riconosce la croce vermiglia che il pellegrino porta stampata sul petto: è lo stemma del suo stesso casato!
Scopre così che Rocco – figlio di Giovanni governatore d Montpellier – è nientemeno che suo nipote.
Negli anni successivi il culto di Rocco si diffonde in modo sorprendente, soprattutto dopo le pestilenze sviluppatesi tra il 1400 e il 1530. Il pellegrino francese inizia infatti a porsi come principale rivale di san Sebastiano, fino ad allora l’unico santo in grado di fermare le frecce pestifere dell’ira divina.
Il culto del santo appestato conosce una straordinaria diffusione nell’Europa occidentale a partire dalla prima metà del XV secolo. Partito, come Rocco, dalla regione di Montpellier, si estende rapidamente nell’Italia del Nord, e in particolare nel Veneto e nelle provincie di Brescia e Piacenza. Durante un’epidemia di peste del 1477 una confraternita di carità viene fondata a Venezia in suo onore.
La fama di Rocco si diffonde velocemente nei territori della Serenissima nella seconda metà del 1400, tanto che il Comune di Venezia ne acquista le spoglie nel 1485, anche se la leggenda vuole che sia stato un mercante veneziano a trafugare le reliquie del Santo custodite a Voghera.
In suo onore, per ordine del Doge e del Patriarca, vengono fondati una chiesa e la Scuola Grande, dove ha sede la confraternita del Santo. Ovunque sorgono chiese, cappelle ed edicole sacre in suo onore.
Un numero impressionante di raffigurazioni di Rocco è contenuto nella chiesa di San Rocco a Bussolengo, in provincia di Verona, a un paio di chilometri dall’Adige.
La chiesa è stata fondata alla fine del 1200, quindi prima ancora che San Rocco stesso nascesse e solo in un secondo tempo è stata dedicata al pellegrino francese, probabilmente proprio a causa delle numerose guarigioni miracolose di cui era stata testimone.
“Le ragioni della sua edificazione vanno cercate pensando, innanzitutto al luogo – spiegano Iozzia e Pennachioni – a pochi chilometri e sulla strada che conduceva a Verona, quindi su una via di passaggio di pellegrini”.
Le numerose raffigurazioni del santo, spiegano i due studiosi, sono frutto della devozione e del ringraziamento dei fedeli a San Rocco per le guarigioni compiute durante le pestilenze, e molti committenti hanno “firmato” l’immagine del santo che hanno fatto dipingere sulle pareti della chiesa.
Nel XIX secolo l’esercito di Napoleone invade Bussolengo e la chiesa viene occupata dall’esercito e trasformata in caserma.
Secondo la tradizione, una notte nell’ex chiesa entra un uomo. Il soldato francese di guardia gli dà l’altolà e gli ordina di allontanarsi. Ma l’uomo insiste. “Questo è un posto militare – grida l’uomo – se non te ne vai devo sparare!”. L’uomo non indietreggia, il soldato spara e la figura svanisce nel nulla.
La mattina il superiore chiede al soldato: “A chi hai sparato questa notte?” e il giovane militare risponde: “A quel signore lì” indicando l’ultima figura in alto a sinistra della parete nord della Chiesa: raffigura un uomo con una calzamaglia bianca e una veste rossa, come gli stivali, un mantello giallo e un bastone da pellegrino. Ha lunghi capelli biondi e la barba lunga, anch’essa bionda. In testa l’aureola. È San Rocco. Determinato a riprendersi la sua chiesa.
Arnaldo Casali