Sergio I, il papa che fu eletto il 15 dicembre del 687, fu importante soprattutto per un motivo: disubbidì in modo clamoroso all’imperatore. Un gesto che all’epoca fece scalpore. Non che altri papi, prima di lui, non avessero provato, invano, a cercare l’autonomia da Bisanzio. Ma Sergio riuscì a imporre le sue ragioni. E con lui, in modo progressivo, Roma e il papato iniziarono a emanciparsi dalla capitale dell’impero.
Sergio era nato a Palermo ma la sua famiglia era emigrata in Sicilia da Antiochia, una città siriana, crocevia dei commerci, che oggi si chiama Antakya e si trova in Turchia, sul bordo del confine con la Siria.
Un luogo speciale nella storia della Chiesa, perché secondo gli “Atti degli Apostoli” fu proprio ad Antiochia che i seguaci di Gesù furono chiamati, per la prima volta, “cristiani”. Tanto che per provare a sedare le frequenti dispute religiose del tempo, i teologi ricordavano che l’autorità del patriarca di Antiochia, come quella del pontefice di Roma, era “direttamente riconducibile a Dio”.
Allora il carisma del pontefice romano non era certo quello di oggi.
Gli imperatori si consideravano isapostoli e cioè “uguali agli apostoli”. E quindi non inferiori al papa di Roma, nemmeno in tema di fede. Come se non bastasse, Roma e tutti i territori italiani che non erano sotto il dominio dei Longobardi, appartenevano all’impero d’Oriente. A Ravenna, c’era un esarca: un vero e proprio viceré che governava la penisola per conto di Bisanzio e che nella sua figura riassumeva sia i poteri militari che quelli civili.
Spesso, questi esarchi erano degli eunuchi: non potendo contare su una discendenza, non potevano nemmeno avere la tentazione di aspirare al trono. Per questo gli imperatori li assumevano e lasciavano loro ampia autonomia.
Quindi, anche quando si sceglieva un papa, bisognava fare i conti con l’esarca di turno. In senso letterale: era meglio pagarlo per riuscire ad ottenere l’elezione. Così fece Pasquale, che nell’anno 687 era il candidato favorito al soglio pontificio dopo la morte di papa Conone: offrì all’esarca Giovanni Platino II la bellezza di 100 libbre d’oro perché favorisse la sua ascesa alla cattedra di Pietro. Ma sbagliò i suoi conti: in conclave gli elettori divisero i loro voti tra due candidati, Pasquale e l’arciprete Teodoro, sostenuto con forza dal popolo romano. E alla fine, come spesso succede, scelsero quello che oggi definiremmo un “outsider”: un terzo candidato, Sergio, il siciliano di origini siriane, che fu eletto papa.
Teodoro, seppure a malincuore, accettò la nomina e si fece da parte. Pasquale, invece scrisse all’esarca: gli chiese di venire a Roma per rivoltare la decisione del conclave. Giovanni Platino II si precipitò nella Città Eterna ma si accorse presto che non c’erano le condizioni politiche per cambiare il corso degli eventi. Non volle però rinunciare alla somma che gli era stata promessa da Pasquale. E si rifiutò di riconoscere Sergio finché il nuovo papa non pagò a sua volta le 100 libbre d’oro. Quando questo avvenne, riconobbe il nuovo pontefice e se ne tornò a Ravenna con i suoi soldati.
Sergio era un uomo di preghiera, di fede e di studio. Aveva fatto parte della Schola cantorum del Laterano. Passava per una “testa dura”. L’occasione per dimostrare la forza della sua personalità arrivò nel 692: Giustiniano II, imperatore di Bisanzio, convocò nella grande sala a cupola del palazzo imperiale di Costantinopoli il “concilio Quinisesto” al quale furono invitati solo i vescovi orientali. Sergio I non fu nemmeno consultato.
Alla fine dell’assise religiosa, Giustiniano II, dovette però mandare i relativi decreti all’approvazione del papa di Roma. In quei documenti c’erano norme nuove e importanti tra cui la decisione di abolire il celibato per il clero e l’attribuzione alla Chiesa di Costantinopoli delle stesse prerogative di quella di Roma.
Sergio I disse subito di no. E si rifiutò di sottoscrivere le decisioni del concilio bizantino. Giustiniano II s’infuriò. E spedì di corsa a Roma, un alto dignitario imperiale, Zaccaria, accompagnato da una delegazione in armi, per arrestare il papa e portarlo a Costantinopoli, con le buone o con le cattive.
La clamorosa decisione aveva avuto un precedente quando un altro pontefice non si era piegato alle decisioni dell’imperatore Costante II: allora papa Martino I fu trasportato con la forza alla presenza del “basileus” che lo imprigionò in Crimea, dove lo sventurato successore di Pietro morì nell’anno 655 a seguito dei maltrattamenti che dovette subire.
Ma con Sergio I la storia prese presto un’altra piega. Quando Zaccaria si presentò con le sue truppe in Laterano, trovò ad attenderlo una folla di romani, inferociti per le tassazioni imperiali e accorsi in massa in difesa del papa. Insieme a loro c’erano anche le milizie armate dei cittadini fedeli al pontefice che arrivarono dalla Romagna, dalle Marche e anche dalla stessa enclave bizantina di Ravenna.
Zaccaria, vista la situazione e temendo di essere linciato, provò a scappare, correndo nelle stanze del grande palazzo. Ma la sua fuga si concluse presto. Lo storico tedesco Gregorovius scrisse che lo scovarono mentre era “acquattato sotto il letto del Papa”. Volevano linciarlo. Ma il papa lo salvò e gli consentì di lasciare Roma, insieme alle sue truppe, senza che gli fosse fatto alcun male.
Gregorovius commentò la portata storica dell’avvenimento: “Apparve allora per la prima volta quali fossero la potenza e la risonanza nazionale del prestigio di Roma”. La situazione poco dopo infatti precipitò anche a Bisanzio, dove nel 695 la popolazione, guidata dal generale Leonzio, si ribellò a Giustiniano II: all’imperatore furono tagliati il naso e le orecchie. Ebbe salva la vita ma fu esiliato.
L’autorità del papa invece si rafforzò. Il pontefice pose fine allo scisma dei tre capitoli, che da oltre un secolo teneva separate da Roma le diocesi dell’Italia nord-orientale, della Dalmazia e dell’Illiria. Nel 700 fu riammessa anche la diocesi di Aquileia che si era staccata dal papato fin dal 553.
Migliorarono i rapporti con i Franchi, che all’epoca erano governati dal “maggiordomo di palazzo” Pipino di Herstal, padre di Carlo Martello. Sergio I istituì la prassi di consacrare i vescovi nella Città Eterna.
Il re britanno Caedwalla del Wessex, il 10 aprile 689 giunse a Roma per farsi battezzare dal papa. Il pontefice lavorò anche all’arricchimento della liturgia: istituì il rito dell’Agnus Dei nella messa e con i soldi dei pellegrinaggi restaurò molte chiese. Dentro la basilica costantiniana di San Pietro fece costruire anche il monumento sepolcrale di san Leone Magno. Morì l’8 settembre 701. E oggi è venerato come santo.
Federico Fioravanti