Grande, potente, glorioso, immortale; certo poco raccomandabile.
Il 16 aprile 1346 nella cattedrale di Skopje viene incoronato imperatore dei serbi Stefan Uroš IV Dušan.
Il più importante sovrano della storia della Serbia è tanto famoso quanto famigerato: se in vita la sua sfrenata sete di potere lo ha portato a massacrare la sua stessa famiglia e a tradire in continuazione alleanze politiche, dopo la morte diventerà il modello e il vessillo per le guerre fratricide e le pulizie etniche che insanguineranno i Balcani.
E dire che era figlio di un santo: il padre, Stefano Uroš III Dečanski, tra i più amati sovrani del paese, è infatti ancora veneratissimo nel monastero kosovaro di Decani, dove il suo corpo è custodito incorrotto.
D’altra parte era stato proprio il figlio a farlo diventare santo, ordinandone l’omicidio e facendone così un martire.
Un ineluttabile destino, per Stefano III, quello di essere fatto fuori dal suo stesso sangue per cospirazioni ereditarie in una famiglia in cui non è che ci si volesse troppo bene.
A cominciare le persecuzioni del povero Decanski era stato infatti il padre: Stefano Uroš II Milutin, re di Serbia dal 1282 al 1321. Che a sua volta, era già avvezzo a questo tipo di faide: il fratello Dragutin, cedendogli la corona, gli aveva chiesto di nominare come erede suo figlio Vladislav, e di fronte al rifiuto gli aveva mosso guerra. Alla fine Stefano aveva vinto e i due fratelli si erano riconciliati grazie alla mediazione dell’arcivescovo Danilo II.
La cosa aveva già messo in allarme Decanski, che temeva che il padre potesse a quel punto strappargli il diritto alla corona per concederla al cugino. Nel frattempo Stefano II si era dato da fare per allargare i confini del regno conquistando Albania, Macedonia e Bulgaria e sottraendo alcuni territori ai Tartari. Per placare l’ira di Nogai Khan, pronipote di Gengis Khan, Milutin gli aveva offerto il figlio come ostaggio. Che a questo punto aveva seri motivi per essere preoccupato.
Decanski era potuto tornare in Serbia solo nel 1299, quando era morto il Khan. Intanto Milutin si era alleato con l’imperatore d’Oriente: aveva sposato la Simonida, figlia del basileus e aveva avviato trattative con papa Benedetto XI per la conversione della Serbia al cattolicesimo.
Simonida aveva cercato di convincere il marito a lasciare il trono a suo figlio Costantino, persuadendolo che il legittimo erede stava complottando contro di lui. Decanski si era trovato così a scontrarsi con il suo stesso padre: si era ribellato apertamente e – in tutta risposta – il re aveva invaso i suoi territori e lo aveva fatto arrestare, accecare e deportare a Costantinopoli insieme al figlio Dušan.
In prigione, però, Decanski aveva sognato san Nicola che lo aveva rassicurato dicendo che aveva lui in custodia i suoi poveri occhi.
Intanto il padre si scontrava con mezza Europa perdendo molti dei territori guadagnati. Aveva anche rotto l’alleanza con Roma scegliendo di porsi nell’orbita di Bisanzio: diventare cattolici significava sottomettersi totalmente all’autorità del Papa e sposare la lingua latina. La chiesa ortodossa, invece, garantiva molto più potere e autonomia, visto che l’autorità di Costantinopoli era solo formale e di fatto ogni chiesa nazionale era gestita in modo del tutto indipendente.
Coerente con questa scelta Milutin aveva fatto edificare molti monasteri e garantito protezione a centri importantissimi come quelli del Monte Athos e di Gerusalemme. Sotto il suo regno, dunque, il sentimento nazionale serbo si era totalmente identificato con il cristianesimo ortodosso.
Perdonato dal padre, Decanski aveva fatto ritorno con Dušan in Serbia, dove aveva trovato l’appoggio della nobiltà che lo preferiva, come erede al trono, al greco Costantino.
Così, alla morte di Milutin nel 1321, Stefano III era stato eletto re e incoronato dall’arcivescovo Nikodim, poi aveva sconfitto in battaglia prima Costantino e poi il cugino Vladislav. Nel 1324 aveva sposato una parente della matrigna, da cui aveva avuto un figlio: Sinisa.
Nel 1327, sostenendo il candidato sbagliato nella lotta per la successione, Decanski si era scontrato con l’imperatore bizantino e con lo zar della Bulgaria suo alleato, e aveva avuto la meglio, rovesciando il regime bulgaro e mettendo un suo parente sul trono. Un contributo fondamentale lo aveva portato in battaglia proprio il figlio Dušan, tanto da essere subito acclamato come un eroe nazionale.
Per ringraziare Dio per le vittorie ottenute, nel 1330 aveva fatto costruire in Kosovo, in un castagneto a 12 chilometri a sud della città di Peć, l’imponente monastero di Decani, nella cui chiesa si trova il più grande affresco bizantino che si sia conservato fino ad oggi.
A guidare la costruzione del maestoso edificio, costruito con blocchi di marmo rosso-violaceo, giallo e onice, aveva chiamato il frate francescano Vito da Cattaro e la chiesa si sarebbe sempre distinta dagli altri templi ortodossi per le sue dimensioni imponenti e il suo aspetto romanico.
L’opera era stata così importante da dare il nome allo stesso Re, ricordato come “Dečanski”, ovvero “di Decani”. Per ringraziare San Nicola della grazia ottenuta, poi, aveva donato un altare d’argento e diverse icone alla basilica di Bari; aveva infine elargito molte donazioni a organizzazioni religiose che si occupavano di assistenza dei poveri, guadagnandosi la fama di santo.
Ad accelerare il cammino verso gli altari, comunque, era stato lo stesso figlio Dušan: temendo di essere estromesso dal trono in favore del fratellastro, Dušan aveva ripercorso le orme del suo stesso padre – modello e nemico al tempo stesso: con il parere favorevole all’Assemblea dei notabili il principe aveva marciato contro il re, asserragliato nel palazzo-fortezza di Nerodimlje, ed era riuscito a catturarlo e a imprigionarlo nella città di Zvečan.
Non contento, l’11 novembre 1331 aveva ordinato di strangolarlo. Il corpo era stato sepolto successivamente proprio nel monastero di Decani, che lo stesso Dušan aveva fatto completare.
Il nuovo re aveva 22 anni (era nato il 26 luglio 1308) ed era stato incoronato il 21 settembre 1331.
Per sancire una pace duratura con la Bulgaria, Stefano IV aveva preso in moglie la sorella dello zar, Elena, poi aveva rafforzato e ampliato i confini con guerre contro la Macedonia, l’Ungheria e la Bosnia, arrivando a insidiare anche l’impero bizantino, con il quale aveva portato avanti una politica che alternava amabilmente guerre e alleanze e che gli era valsa la conquista dell’Albania e di gran parte della Grecia.
Entrato nella città di Serres la notte di Natale del 1345, Dušan si era proclamato zar e autocrate dei Serbi e dei Romani con il dichiarato intento di creare un nuovo impero che difendesse la cristianità ortodossa e che fosse un baluardo contro gli Ottomani.
Da che mondo è mondo, però – o almeno da Carlo Magno in poi – un imperatore viene incoronato dal Papa. E Stefano IV vuole diventare il Carlo Magno dei Balcani. Il problema è che il papa di Roma non incoronerà mai un imperatore non cattolico, e d’altra parte il patriarca di Costantinopoli – “papa” degli ortodossi – non può permettersi di legittimare quello che è diventato il principale nemico di Bisanzio. Se Stefano vuole essere incoronato dal papa, quindi, bisogna che un papa se lo faccia da solo.
Così nomina patriarca della chiesa ortodossa serba l’arcivescovo di Pec Joankije II e il 16 aprile 1346 si fa incoronare da lui imperatore dei serbi nella cattedrale di Skopje, la città macedone che 600 anni dopo darà i natali a Madre Teresa di Calcutta.
Dopo quattro anni, però, su insistente richiesta di Bisanzio, il patriarca di Costantinopoli scomunicherà i Serbi.
Nel frattempo l’impero di Dušan si sarà esteso dal Danubio a Corinto e dal Mare Egeo all’Adriatico. Mancherà solo la città di Salonicco, a Stefano, per poter marciare verso la capitale bizantina, per la cui conquista l’imperatore chiederà aiuto alla Repubblica di Venezia prima e a quella di Genova poi.
Per quanto riguarda la politica interna, Stefano accentrerà a sé tutti i poteri privando di autonomia i notabili locali e nel 1349 farà redigere il Codice di Dušan: un importante documento giuridico unico fra gli stati europei contemporanei, che comprende più di duecento articoli, con la codificazione delle leggi tradizionali non scritte, del diritto ecclesiastico e di elementi di diritto pubblico che lo prefigurano come la più antica legge costituzionale.
Morirà il giorno di Natale del 1355, a 47 anni, forse avvelenato o a causa di un attacco epilettico. Il suo corpo sarà sepolto nel monastero dei Santi Arcangeli a Prizren in Kosovo, da cui nel 1927 verrà traslato nella chiesa di San Marco a Belgrado.
A succedergli il figlio Stefano Uroš V detto il Debole, che vedrà disgregarsi l’impero serbo sotto l’attacco di quello Ottomano.
Nel 1389, a seguito della sconfitta nella Battaglia della piana dei merli, il Kosovo passerà sotto i turchi, per tornare al Regno di Serbia solo all’inizio del Novecento, ormai islamizzato; finirà poi sempre più nell’orbita dell’Albania, tanto che negli anni ’90 i serbi rappresenteranno appena l’8% della popolazione.
Dušan resterà nei secoli l’icona dell’identità serba; sarà lui il modello degli ideologi che nel corso dell’Ottocento rilanceranno il mito della “Grande Serbia” con l’ambizione della conquista di tutti i Balcani.
Un’idea che starà alla base dei conflitti in tutta l’area, dalla Prima guerra mondiale fino alla tragedia degli anni ’90 e alla successiva pulizia etnica del Kosovo messa in atto dal presidente serbo Slobodan Milošević, che darà origine alla rivolta degli albanesi (di religione musulmana) e alla guerra del 1999.
Dopo la fine della guerra il Kosovo rivendicherà l’indipendenza, riconosciuta solo da metà degli stati aderenti alle Nazioni Unite, senza riuscire mai a trovare pace. Tanto che il celebre monastero di Decani, dove riposa il corpo di Stefano III, dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco, diventerà uno dei bersagli principali del fondamentalismo islamico.
Protetto dai caschi blu dell’Onu e dalle forze della Nato, dalla fine della guerra del 1999 il monastero è stato oggetto di quattro attacchi armati ad opera di kosovari musulmani. Nell’ottobre del 2014 le mura dell’edificio sono state ricoperte con scritte inneggianti allo Stato islamico e il 30 gennaio 2016 è stato sventato un nuovo attentato ad opera di fondamentalisti islamici kosovari.
Arnaldo Casali