Ulrich von Jungingen, Gran Maestro dell’Ordine di Santa Maria dei Teutoni in Gerusalemme, guardava la vasta pianura che si stendeva sotto le zampe del suo cavallo da guerra.
Accanto a sé, e tutt’intorno, 700 fratelli cavalieri, 11.000 sergenti a cavallo e fanti delle città assoggettate e 8.000 tra mercenari e “crociati” (i lituani che dovevano prestare servizio militare con l’Ordine). Davanti a sé un esercito di 30.000 uomini composto da polacchi, lituani, boemi, magiari, moldavi, russi e mercenari tartari.
La mattina del 15 luglio 1410, nella piana compresa tra i villaggi di Tannenberg, Grünwald e Ludwigsdorf, si combatte l’ultimo grande scontro tra cavallerie feudali, un insieme di masse di acciaio, ferro e carne che cozzano l’una contro l’altra ad ondate successive, cercando di scardinare il fronte avversario, prendere prigionieri per il riscatto e passare al saccheggio dell’accampamento nemico. Quel giorno non avvenne nulla di tutto questo, ma solo un massacro durato quasi dieci ore.
Le premesse Il 18 maggio del 1291 cade San Giovanni d’Acri, ultima roccaforte dei regni cristiani in Terrasanta. Le mura della città sono difese dai cavalieri Ospitalieri e dai Templari a nord, i cavalieri Teutonici si occupano della difesa di sud-est e Amalrico di Lusignano presidia il fronte dell’est. Con la caduta della città anche il destino degli ordini cavallereschi si compie e si diversifica.
Gli Ospitalieri si rifugiano a Rodi e poi a Malta e proseguono la lotta secolare con i musulmani nelle acque del Mediterraneo. I Templari si rinchiudono nelle loro magioni in Europa e Jacques de Molay, l’ultimo Gran Maestro, moriva sul rogo a Parigi il 18 marzo 1314. I cavalieri Teutonici, invece, guardano al nord del continente, alle terre pagane della Prussia e alle sconfinate pianure tra Polonia e Lituania. In pochi anni i cavalieri tedeschi conquistano un vasto territorio (città come Danzica, Konigsberg, Brandeburgo, Marienburg e regioni come Pomerelia, Dobrin, Samogizia, Curlandia ed Estonia,), ma smarriscono l’originaria vocazione di difesa dei pellegrini e di conversione dei pagani, con conseguente perdita di appoggi politici e religiosi. Lo scontro con le truppe comandate dal re polacco-lituano Ladislao II Jagellone segnò l’inizio del declino dell’ordine cavalleresco.
Le conquiste Dopo la conquista della Prussia (metà del XIII secolo) i cavalieri Teutonici andarono in soccorso delle popolazioni cristiane della Livonia, assalite da forze russe e lituane ancora paganeggianti. Il 27 luglio del 1320 le truppe teutoniche vennero sconfitte a Medenik. Il maresciallo dell’ordine, Heinrich von Plotzke morì sul campo e Gehrard von Ruden venne bruciato vivo con il cavallo, come sacrificio agli dei. Per 25 anni i cavalieri Teutonici combatterono contro lituani, russi, samogiti e tartari, infliggendo pesanti sconfitte a Strawe (1348), Strebnitz (1349) e a Rudau (1370), quest’ultima ad opera del gran maestro Winrich von Kniprode.
Lo scenario si modifica completamente quando il principe lituano Ladislao II Jagellone sposa Judwiga (Edvige) d’Angiò di Polonia, unificando così i due regni. La scelta politica, religiosa e culturale di ricevere il battesimo e l’impegno alla conversione delle sue genti procurano a Ladislao l’appoggio da parte della Chiesa e delle popolazioni del nord Europa. I cavalieri Teutonici, orientati ad una conquista politica, militare ed economica del territorio, non hanno più una giustificazione religiosa per quell’espansione ad est (drang nach Osten) che appare sempre più un’aggressione ad un paese ormai cristiano. Il possesso della Samogizia, e non solo visto che gli interessi territoriali e politici dell’Ordine e dei polacchi erano convergenti verso lo stesso obiettivo, costituì il casus belli tra Jagellone II e il cugino Vytautas contro l’Ordine Teutonico.
Tra tensioni crescenti a livello militare e alleanze segrete (Venceslao IV di Boemia firmò con la Polonia un trattato difensivo contro i cavalieri teutonici, mentre il fratello Sigismondo di Lussemburgo si alleò con l’Ordine) si arrivò all’estate del 1410 e alla guerra.
Verso la battaglia I due eserciti si affrontarono nella piana compresa tra Tannenberg (collina degli abeti), Grünwald (bosco verde) e Ludwigsdorf (villaggio di Ludovico).
I cavalieri Teutonici giunsero sul campo di battaglia con 700 fratelli cavalieri (su un totale di 1.400), 11.000 sergenti a cavallo e truppe fornite dalle città e dal contado, 8.000 mercenari e “crociati”, cioè volontari provenienti dalle regioni di più recente cristianizzazione. Ladislao e Vytautas (Vitoldo) rispondono con un esercito di 30.000 lituani, polacchi, boemi, magiari, moldavi, russi di Smolensk e mercenari tartari, il cui punto di forza è costituito dalla cavalleria corazzata polacca, fedele al re fino all’estremo sacrificio.
La mattina 15 luglio del 1410 il Gran Maestro Ulrich von Jungingen schiera in prima linea i cavalieri pesanti, concentrandoli sulla parte esterna della fila, poi la cavalleria leggeri, gli arcieri in posizione defilata, insieme con l’artiglieria (che, però, non influirà sull’esito dello scontro a causa del terreno bagnato e per la scarsa gittata dei pezzi). L’ala sinistra era comandata dal Maresciallo di Prussia Friedrich von Wallenrode, mentre l’ala destra dal Grosskomtur dell’Ordine Conrad von Lichtenstein. I polacco-lituani rispondono con due corpose formazioni di prima linea, sull’ala destra i 51 stendardi polacchi e a sinistra i 40 lituani, disposte a cuneo di profondità, fino a venti file con la prima composta da tre cavalieri e l’ultima da undici, al centro la fanteria di mercenari boemi e la cavalleria leggera.
I due schieramenti si fronteggiano per quasi tre ore. Il Gran Maestro von Jugingen si aspettava che fossero i polacchi ad iniziare la battaglia. Ladislao non si muoveva e non potendo attendere oltre, vista anche la giornata calda e assolata che si andava apprestando, von Jungingen inviò gli araldi a Ladislao con un messaggio, riportato dal cronista Jan Dlugosz: “Sua Maestà! Il Gran Maestro Ulrico manda a te e tuo fratello, tramite noi, i delegati qui presenti, due spade in aiuto affinché tu, con lui e la sua armata, non ritardiate oltre e possiate combattere più coraggiosamente di quanto abbiate mostrato finora, e anche affinché voi non continuiate a nascondervi e a rimanere nella foresta, e non posponiate oltre la battaglia. E se credete di avere troppo poco spazio per dispiegare i vostri ranghi, il gran maestro Ulrico, per spingervi alla battaglia arretrerà dalla pianura nella quale ha schierato la propria armata, tanto lontano quanto desiderate, o vi consentirà di scegliere il campo di battaglia affinché non dilazioniate oltre”1.
Il Gran Maestro fece realmente indietreggiare il suo schieramento, anche perché aveva fatto scavare delle buche davanti ai suoi militi per rallentare la carica della cavalleria nemica. Quanto alle spade lasciate conficcate nel terreno dagli araldi, le cronache del tempo rimandano ad un gesto di superiorità da parte di von Jungingen e di disprezzo del nemico, un gruppo eterogeneo di soldati, spesso male armati, tanto da aver bisogno di due spade in più. Se il Gran Maestro avesse attaccato immediatamente le truppe nemiche, ancora disorganizzate e non perfettamente schierate, la giornata di Tannenberg sarebbe stata ricordata come una vittoria dei cavalieri teutonici. Ulrich von Jungingen invece, decise di attendere che il nemico facesse la prima mossa. E non fu l’unico errore commesso quel giorno.
Lo scontro I primi a muoversi sono i cavalieri leggeri lituani e i tartari, al comando di Vitoldo, che scaricano un nugolo di frecce sui teutoni, chiusi nelle loro armature e riparati dagli scudi. Un assalto che viene respinto con facilità e i lituani e tartari fanno marcia indietro, inseguiti dalla cavalleria teutonica. Si tratta di un trucco, per attirare i cavalieri lontano dalla piana. Mentre i cavalieri leggeri tornano indietro, infatti, una parte dei Teutonici finesce contro le contro le fanterie alleate dei russi di Smolensk ancora ferme ai margini del bosco a protezione dell’ala destra dei polacchi, adesso apparentemente scoperta. È un azzardo per Ladislao. I battaglioni di Trakai e di Vilnius, però, riescono a resistere alla carica di nove gonfaloni al comando del cavaliere di Wallenrode. Nel combattimento si distinguono gli uomini al comando di Giorgio figlio Mstislav, principe di Smolensk. I comandi dell’Ordine, vedendo la situazione favorevole sul loro fianco sinistro, spostano le truppe dal proprio lato destro. I Teutonici avanzavano metodicamente facendo strage di lituani e tartari. Poi lanciano una parte della cavalleria all’inseguimento di quella avversaria in fuga. I cavalieri teutoni non riescono a raggiungere le veloci e leggere truppe a cavallo lituane che scompaiono all’orizzonte. In realtà si ritirano nel bosco, andando ad ingrossare le fila della cavalleria pesante polacca. Gli storici ancora dibattono sull’ipotesi che si sia trattato di un piano ben congegnato, in quanto molti soldati “smisero di correre se non quando furono in territorio amico, dove riferirono di aver subito una sconfitta”2. Jan Dlugosz riferisce come “i nemici all’inseguimento, pensando di aver già vinto, iniziarono ad allontanarsi dai propri stendardi, cosicché i ruoli cambiarono e loro stessi vennero cacciati. E quando vollero tornare dalla loro parte, gli uomini del re li separarono dalla loro gente, uccidendo e prendendo prigionieri”3.
Esaurita la forza della carica, però, i cavalieri dell’Ordine si trovano a dover combattere corpo a corpo contro le fanterie russe. Una mischia pericolosa e inconcludente per i cavalieri, i quali restano bloccati nella pianura, mentre la cavalleria polacca può manovrare per cercare di accerchiare i teutonici e prenderli alle spalle. A fermare la carica dei polacchi ci sono i fanti del Gran Maestro. Ladislao lancia la carica della sua cavalleria, ma seppure in numero esiguo, i confratelli dell’Ordine, al grido di «Christ ist erstanden» (Cristo è risorto) e i fanti riescono a reggere l’urto. Nella calca della lotta cade lo stendardo di Ladislao e i polacchi credono che il loro re sia morto. Lo Jagellone ricompare in seconda linea, si mostra ai soldati e con l’aiuto dei russi riesce a strappare a Wallenrode lo stendardo. In lontananza appaiono i cavalieri teutonici che hanno desistito dall’inseguimento dei lituani e dei tartari. Il re polacco, allora, decide di affondare il colpo contro le ali teutoniche e impedire che i due tronconi si riuniscano. Richiama dal bosco le riserve, e i lituani fuggiti nella finta ritirata dopo il primo assalto, e anche la cavalleria leggera di Vitoldo, puntando sul fianco destro i reparti a cavallo dell’Ordine prima che si ricongiungessero con il Gran Maestro. A quel punto le cavalcature dei Teutonici sono sfiancate e non possono partire nella controcarica e per polacchi e lituani è facile fare strage dei nemici.
Il Gran Maestro von Jungingen chiama all’attacco le riserve, ma anche la terza linea polacca avanza. Le riserve teutoniche si arrestano, non hanno spazio e gli avversari ne approfittano. Le truppe teutoniche sono affaticate dal caldo, dal peso delle armature e dagli sforzi sostenuti nei precedenti attacchi e vengono accerchiati. Poi sul campo di battaglia riecheggia il grido: “Arrivano i lituani” e l’armata teutonica si sgretola. Alcuni cavalieri consigliano al Gran Maestro di ritirarsi, ma Ulrico risponde: “Non voglia Dio che io abbandoni mai questo campo dove sono morti tanti miei uomini”. Poco dopo cadono quasi tutti gli alti ufficiali dell’Ordine, compresi il Gran Maestro (colpito al petto e al viso e, infine, trapassato al collo da una lancia lituana), il Gran Tesoriere e il Grosskomtur. Sparsasi la voce della morte di von Jungingen i Teutonici fuggono al grido di “Madonna, abbi pietà di noi”. Sono le 7 di sera e, secondo Jan Dlugosz, i polacchi inseguirono i Teutonici fino all’imbrunire per oltre 15 miglia4. Gli ultimi cavalieri e sergenti si chiusero in cerchio nei pressi dei carriaggi e delle tende: “Ne morirono più qui che in qualsiasi altro posto sul campo di battaglia”5. Non fu concessa pietà se non a poche centinaia di superstiti. Tra le salmerie i polacchi trovarono anche le bombarde e i cannoni dei cavalieri Teutonici. Artiglieria che non venne utilizzata perché a causa della pioggia la polvere pririca si era bagnata e il terreno fangoso non permetteva né di muovere i pesanti pezzi né i proiettili avrebbero avuto effetto, affondando nella mota invece che rimbalzare tra gli uomini dello schieramento avversario.
Al termine di 9 estenuanti ore di battaglia Ladislao fece raccogliere dal campo 51 insegne dei suoi nemici, poi poste nella cappella di San Stanislao della cattedrale di Wawel a Cracovia (descritte da Jan Dlugosz nel suo Banderia Pruthenorum e ricopiate con l’aggiunta di didascalie dal pittore Stanislao Durink e ora scomparse). Sul campo di battaglia rimasero almeno 18.000 morti dell’esercito teutonico e 14.000 prigionieri. Al castello di Marienburg, capitale dei possedimenti dell’Ordine, fecero ritorno 1.427 tra cavalieri e sergenti e 77 arcieri. A Marienburg rientrò anche Heinrich von Plauen, poi eletto Gran Maestro, con i suoi 3.000 uomini, impedendo a Stanislao di prendere la città. L’esercito polacco-lituano contò 5.000 morti e 8.000 feriti.
La battaglia di Tannenberg e la successiva sconfitta di Puck nel 1462 fecero sì che “i bianchi mantelli crucisignati non sarebbero più stati visti nelle grandi distese gelate” del nord Europa6. Nel 1526 il Gran Maestro Alberto Hohenzollern, aderì alla Riforma luterana, incamerò i beni dell’Ordine Teutonico divenendo il primo duca secolare di Prussia. Nel corso della guerra di Successione spagnola (1701-14) gli Hohenzollern acquisirono il titolo regale, si fecero promotori dell’unificazione della Germania, regnando fino al 1918.
Cinquecento anni dopo Tannenberg fu protagonista di un altro scontro tra le truppe prussiane e quelle zariste. L’esercito imperiale tedesco, tra il 26 e il 30 agosto 1914, infliggeva una pesante sconfitta ai russi: 60.000 prigionieri, 3 Corpi d’armata annientati e 2 decimati. Per ricordare la battaglia e onorare i caduti venne costruito il Memoriale di Tannenberg e vi fu tumulato il corpo del generale Paul von Hindenburg, comandante in capo dell’esercito tedesco e morto nel 1934. All’approssimarsi dell’Armata rossa fu Adolf Hitler e dare l’ordine di traslare la salma di Hindenburg e demolire (parzialmente) il Memoriale.
Umberto Maiorca
1,3,4,5 J. Dlugosz, Chronica conflictus, in Historiae Polonicae, Varsavia, 1999
2 A. Frediani, Le grandi battaglie del Medioevo, Newton compton editori, 2015, p. 100
6 A. Leoni, Storia militare del Cristianesimo, Edizioni Piemme, 2005