Non molti dei lettori di J.R.R. Tolkien (1892-1973) sono consapevoli dell’importanza, o addirittura dell’esistenza, del suo amore per il Medioevo e dell’interesse per le lingue e letterature antiche, da cui trasse molta ispirazione per le sue opere. Allo stesso modo, pochi lettori hanno compreso che i linguaggi creati dallo scrittore inglese – parte essenziale del suo mondo immaginario – non possono essere ridotti a parole messe insieme casualmente, ma seguono veri e propri modelli che hanno tutte le caratteristiche dei linguaggi reali, sono soggetti a leggi logiche e si basano sulle competenze professionali di Tolkien in campo linguistico, acquisite attraverso lo studio dei testi medievali.
«Perché Tolkien, e perché il suo interesse nel Medioevo?» In primo luogo, perché la stessa celebrità del romanziere tende a oscurare, almeno agli occhi del grande pubblico, l’importanza del suo lavoro accademico e delle sue pubblicazioni scientifiche. Perché prima di essere conosciuto per la sua invenzione di Bilbo Baggins (Lo Hobbit è pubblicato nel 1937), Tolkien era soprattutto un linguista e un medievalista, un professore universitario con la passione per lo studio di documenti antichi e la ricostruzione di lingue estinte. Lui stesso si definiva professore di Filologia, termine un po’ desueto in questi giorni in cui si preferisce dire di «linguistica storica e diacronica». La sua area di predilezione era l’Inglese Antico (o “anglosassone”, cioè l’Old English), stato primitivo della lingua inglese e, più in generale, le relazioni linguistiche del gruppo germanico (tra cui, tra le altre lingue, il gotico, l’antico alto tedesco e il norreno). Sono tutte lingue storiche, cioè conservate nei manoscritti medievali o ricostruite dagli specialisti nel loro stadio preistorico. Tolkien insegnò tutto questo nelle università di Leeds e Oxford per quasi 40 anni. Insegnava con rigore, ma anche con la capacità quasi magica di catturare l’attenzione gli studenti, formando il loro il gusto per i poemi antichi e medievali. È passato alla storia della letteratura e dell’immaginario collettivo, appunto, come l’autore dello Hobbit e del Signore degli Anelli, ma conosceva le lingue antiche e medievali e si dilettava a creare lingue artificiali, come rivela lui stesso in “Un vizio segreto” pubblicato nel volume che raccoglie i suoi saggi e le conferenze dedicate al Medioevo.
L’incontro con questo grande autore è un modo per entrare in contatto con la letteratura antica, testimonianza di una cultura di un’epoca lontana in cui l’Europa moderna affonda una parte considerevole delle sue radici. Tolkien e il suo amico e collega C.S. Lewis, autore delle Cronache di Narnia, hanno avuto il merito di rendere il Medioevo accessibile al lettore medio e perfino ai ragazzi stimolando la loro fantasia. Il Professore di Oxford aveva capito che anche nel XX secolo l’uomo ha sempre necessità di fantasia, riscoperta, evasione e consolazione. Anche l’uomo contemporaneo ha bisogno di fiabe e di miti, di storie intrecciate d’avventura dalle quali emergano una qualche certezza morale e un sentimento pieno del dolore e della gioia della vita. Tolkien predicò questi concetti per l’intera durata della sua carriera, pubblicando diversi saggi nel campo degli studi strettamente filologici e respingendo con forza, come testimonia il suo “Discorso di commiato all’Università di Oxford”, la separazione fra lo studio di una lingua e la relativa letteratura.
Tra le caratteristiche manifestate dalle opere di questo scrittore appassionato studioso del Medioevo, vi è senz’altro la capacità di scrivere storie fruibili da chiunque: una dote all’origine di un vasto e duraturo successo ottenuto in Occidente a partire dalla metà degli anni Sessanta del Novecento. Nella sua peculiare concezione il Medioevo non è considerato come una semplice età storica, ma come un quadro di riferimento epistemologico e valoriale: non un nebuloso periodo storico, ma una condizione.
Lingua e mitologia viaggiano insieme fin dall’alba dei tempi e così avviene nell’ampia produzione del professore, che non scrive romanzi fantasy per conquistare un pubblico adolescente, ma crea un universo complesso e realistico per far vivere la lingua che con tanta cura ha limato per decenni.
Questo “Medioevo” fantastico e fattuale che Tolkien canta e descrive trae origine da capolavori della letteratura medievale come il Beowulf o l’Edda di Snorri, in cui accanto a figure sociali storicamente fondate, come re e nobili guerrieri, trovano spazio creature fantastiche come nani, maghi e draghi. Nel far questo, Tolkien si ispira a prosa e poesia norrena e anglosassone di vario genere (epica, storica, apologetica); poemi dell’antico e medio evo inglese cristianizzato; poesia arturiana di origine gallese; le fiabe popolari; gli indovinelli popolari inglesi; indovinelli medievali; curiosità filologiche (toponomastiche ed onomastiche). L’ispirazione medievale ha il merito di rendere possibile la creazione di un epos inglese ambientato in un mondo monoteistico in cui si ha una teologia naturale rivelata che esclude l’adorazione di dio e l’esistenza di culti e riti.
Dai saggi ai romanzi Lo scrittore inglese non creò solo un mondo coerente col Medioevo. Anche nei personaggi del Silmarillion e in alcuni del Signore degli Anelli sono presenti caratteristiche medievali, come in Theoden, Aragorn e Boromir. Proprio in quest’ultimo, Tolkien riprende la concezione “nordica” del coraggio che aveva tanto apprezzato nel Beowulf e che aveva esplicitato teoricamente, ma anche criticato, nel pastiche narrativo-saggistico Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm. Saggio-poema a suo modo unico nella produzione di Tolkien è incentrato sul poema breve medievale La Battaglia di Maldon e passa da un’introduzione accademica a un’ipotesi di epilogo della vicenda in forma di partitura drammaturgica in cui vanno in scena due personaggi inviati sul campo di battaglia di Maldon per recuperare il cadavere del valoroso Beorhtnoth: Totta è un giovane aspirante menestrello cresciuto al suono degli antichi poemi epici, e Tìda è invece un vecchio agricoltore che in gioventù ha conosciuto i campi di battaglia e le loro tragiche conseguenze.
Oltre alle citazioni nelle opere maggiori e ai saggi accademici, l’autore è conosciuto anche come traduttore di opere medievali come Pearl, Sir Orfeo e soprattutto Sir Gawain e il Cavaliere Verde. In questo trecentesco capolavoro allitterativo che Tolkien studiò a fondo e di cui scrisse l’analisi, come nelle fiabe compaiono gli Orchi, è presente il gigantesco e misterioso Cavaliere Verde, questa volta per mettere alla prova l’intera civiltà della cavalleria cortese e il suo eroe (quasi) perfetto, Galvano.
Ancor di più, Tolkien seppe farne anche una parodia, Il Cacciatore di Draghi (in originale l’attenzione è rivolta al protagonista, il contadino Giles: Farmer Giles of Ham) in cui l’incipit è tutto un programma: «L’agricoltore si sentiva rispettato, e la fortuna gli arrideva. Il lavoro durante l’autunno e il primo inverno procedette bene. Tutto sembrava volgere al meglio – finché giunse il drago». Dalla tipica storia medievale si passa alla narrativa. E dopo quel trattino, che quasi fisicamente sembra un ultimo trampolino ritto sull’orlo del precipizio, inizia la letteratura, l’immaginazione che confonde e modifica la realtà.
La filologia creativa Come un amanuense medievale, quindi, Tolkien avvicinò con uno sguardo critico tutti i classici che incontrava all’università come studente e poi professore. Soprattutto la letteratura medievale, di cui come detto fu massimo esperto, presenta testi lacunosi o a volte frutto di molti rimaneggiamenti successivi. Interessanti da un punto di vista storico e filologico, pongono una bella sfida da quello letterario.
Così come un amanuense, il professore di Oxford si cimentò in molte occasioni nella riscrittura di quelle fonti, colmando le lacune oppure eliminando tutte le parti spurie aggiunte nei secoli successivi. Tolkien lo fece per diletto, ma col rigore dello studioso.
Sono così nati i libri che possiamo leggere in questi ultimi anni, le riscritture della saga dei Volsunghi (La leggenda di Sigurd e Gudrun), la traduzione del maggiore poema anglosassone (il Beowulf appunto) e un accenno della leggenda di Re Artù prima che la mitologia cristiana ci mettesse le mani (La Caduta di Artù) e La storia di Kullervo, la riscrittura di una parte del poema fondativo della moderna Finlandia, il Kalevala, riscoperto e pubblicato alla fine dell’Ottocento.
Roberto Arduini