Ha 35 anni e coraggio da vendere, una maglia di ferro, un elmo in testa, addosso tante vecchie ferite, fra le mani una spada, alle spalle un passato glorioso e di fronte pochi minuti di vita.
Ma non ha un nome, Towton 25. Così lo chiameranno i posteri, quando le ruspe al soldo di un supermercato strapperanno il suo scheletro alla terra e lo spediranno in un museo.
È un soldato, Towton 25; è un inglese, e sta combattendo per il suo re. Anche i soldati che cerca di ammazzare sono inglesi. Hanno la stessa storia, sono cresciuti nei suoi stessi luoghi, parlano la sua stessa lingua. Però seguono un’altra bandiera, sono fedeli a un altro re. Inglesi come lui, soldati come lui, coraggiosi come lui. Vittime come lui di intrighi politici e di lotte tra famiglie che hanno scatenato una sorta di derby permanente, una guerra incivile, feroce e insensata che oggi, 29 marzo 1461, li ha portati sul campo della battaglia più sanguinosa della storia dell’Inghilterra.
È un uomo, Towton 25. Uno qualsiasi, dei 28mila che moriranno in una strage da record: l’1% della popolazione inglese renderà l’anima per stabilire chi deve indossare la corona.
In campo in tutto sono 80mila, compresi 28 lord, ovvero la metà della nobiltà inglese. La maggior parte parteggiano per i Lancaster, che alla fine usciranno sconfitti. Ma non importa: sul campo ci sono 80mila uomini, 80mila inglesi, con un’unica lingua, un’unica storia, un’unica patria. E un unico vessillo: la rosa. Divisi solo dal colore: la rosa bianca, la rosa rossa. Due rose in lotta, rosso sul bianco, sangue sulla neve.
Edoardo IV di Inghilterra, Richard Neville, conte di Warwick e Lord Fauconberg e John De Mowbray, duca di Nowfolk comandano le truppe della rosa bianca degli York, mentre Henry Beaufort, duca di Somerset, Henry Percy, conte di Northumberland e Henry Holland, duca di Exeter, guidano le truppe della rosa rossa dei Lancaster. Ma tra loro ci sono anche Enrico VI, il re spodestato, e sua moglie Margherita d’Angiò, vera protagonista della faida.
Tra quelli che la sorte della guerra preferiscono deciderla in salotto piuttosto che sul campo di battaglia, invece, c’è Francesco Coppini, potente ecclesiastico italiano.
Coppini è nato a Prato e ha iniziato la carriera ecclesiastica a Firenze. Nel 1447 è stato inviato come commissario apostolico a San Gemini per difendere la cittadina dagli attacchi di Todi e nel 1455 è tornato per risolvere la diatriba sulla gestione del lebbrosario comunale. La confidenza che ha preso con l’Umbria gli è valsa, nel 1457, la nomina a vescovo di Terni al posto di Ludovico Mazzancolli. Il suo potere in Vaticano è tanto che nel 1458, alla morte di Callisto II, il nuovo papa Pio II, per incontrarlo, aveva deciso di aggiungere una tappa al suo viaggio verso Mantova. La città era stata scelta come sede di un congresso di sovrani cristiani per organizzare la crociata contro i turchi. Pio II riteneva che Coppini potesse diventare un eccezionale diplomatico e lo aveva incaricato di una missione alle corti di Francia, Inghilterra e Fiandra affinché questi regni cessassero di combattersi tra loro e dirottassero le loro energie contro i musulmani.
Il vescovo, però, aveva interpretato in modo molto personale l’incarico, agendo da principe di rango. In Fiandra aveva concentrato la sua attenzione sui beni artistici: si era fatto consegnare da Nicolas Froment il trittico La Resurrezione di Lazzaro e ne aveva fatto dono a Cosimo dei Medici. Quando poi il papa lo aveva inviato ambasciatore in Gran Bretagna si era gettato mani e piedi nel conflitto tra York e Lancaster, esploso nel 1455 per ragioni dinastiche.
Edoardo III era morto nel 1377 lasciando ben 6 figli maschi, tutti sposati con le rampolle delle famiglie più ricche e potenti di Inghilterra. Per cinquant’anni gli eredi al trono non avevano fatto che rovesciarsi reciprocamente, congiurare, scatenare faide.
La situazione si era fatta ancora più grave con la salita al trono del riluttante Enrico VI di Lancaster, uomo spirituale, allergico al potere e sostanzialmente incapace di governare. Quando poi era uscito di testa le cose erano precipitate: il re era stato dichiarato incapace di intendere e di volere. La moglie Margherita d’Angiò aveva rivendicato il governo del paese ma se l’era dovuta vedere con con Riccardo di York che – nominato “Lord Protector” – l’aveva emarginata e aveva iniziato a perseguitare i suoi favoriti.
Quando il re si era ripreso, però, Riccardo aveva perso ogni potere. Deciso a riagguantarlo, aveva avanzato pretese sulla stessa corona dichiarandosi il legittimo erede, scatenando una vera e propria guerra nella primavera nel 1455. Qualche mese dopo, Enrico VI aveva subito una ricaduta e Riccardo era stato nuovamente nominato capo del governo.
Quando il re si ristabilì, decise di tenere il Duca di York come consigliere: una pace forzata, fasulla e di breve durata, minata anche dal conflitto aperto tra il duca e la regina: nel 1460, dopo la battaglia di Northampton la fazione di York aveva conquistato Londra e catturato Enrico. Il Parlamento nominò Riccardo legittimo erede negando la successione a Edoardo di Lancaster. Nel frattempo la regina aveva messo insieme un possente esercito: il 30 dicembre 1460 un’altra battaglia si era consumata a Wakefield dove Riccardo era stato sconfitto e ucciso, mentre uno dei suoi figli era stato pugnalato a morte dopo lo scontro militare. Le loro teste tagliate erano state portate in giro per la città su delle picche e infine esposte quale monito; su quella di Riccardo era stata messa per sfregio una corona di carta e paglia, l’unica che avrebbe mai indossato quella testa.
Suo figlio Edoardo, però, il 2 febbraio 1461 era riuscito ad avere la meglio sui Lancaster e a conquistare di nuovo Londra.
Intanto in Gran Bretagna era arrivato, come ambasciatore, il vescovo Francesco Coppini, che aveva subito aperto i negoziati con Enrico VI; o meglio con la moglie Margherita. Negoziati che più che a un accordo politico avevano puntato ad un approccio carnale; la Regina, però, non aveva nessun intenzione di concedere il suo corpo in cambio di una benedizione e così Francesco – rifiutato e umiliato – era passato all’altra rosa, parteggiando apertamente per Edoardo di York e arrivando persino a scomunicare il re in carica.
Con l’appoggio di Santa Madre Chiesa, dunque, Enrico era stato ancora catturato e deposto, mentre Edoardo era stato incoronato nuovo Re d’Inghilterra. La riscossa dei Lancaster non si era fatta attendere: Margherita aveva guidato la liberazione di Enrico, Edoardo aveva subito reagito e aveva portato i due eserciti a scontrarsi per l’ennesima volta, prima a Ferrybridge e poi in un altopiano tra i villaggi di Towton e Saxton, nello Yorkshire.
Il 29 marzo è una giornata fredda, con forte vento e folate di neve.
L’esercito dei Lancaster ha occupato un altopiano col fianco destro bagnato da un ruscello, il Cock Beck: una postazione vantaggiosa, con buoni spazi d’azione per gli arcieri e con gli York costretti ad avanzare risalendo l’altopiano per poterli attaccare; i Lancaster sono però messi in difficoltà dalle pessime condizioni meteorologiche: gli arcieri degli York, infatti, hanno il vento alle spalle e sono quindi avvantaggiati.
In molte posizioni gli uomini dei Lancaster avanzano per cercare di ingaggiare combattimenti corpo a corpo, onde evitare di continuare a subire il continuo tiro degli arcieri nemici, ma la manovra li costringe ad abbandonare la posizione sopraelevata e il vantaggio del terreno.
Towton 25 è già ferito alla testa; è inondato dal suo sangue caldo e sporco di quello rappreso dei nemici. Ma non si arrende. In mezzo alla tempesta di neve è tutto uno sferragliare di picche, spade, asce. Una pioggia di frecce si abbatte sul suo plotone; una lo raggiunge. Cade a terra. Stringe il pugno sull’erba, si rialza e riparte.
Ci sono così tanti cadaveri per terra che è difficile avanzare e combattere senza inciapare. Un’altra freccia gli brucia la fronte, ma lui non indietreggia. Ce ne sono tanti in fuga, tra i suoi compagni, ma lui non batterà la ritirata, non si farà colpire alle spalle: se lo vogliono ammazzare dovranno prenderlo in faccia. Non capisce nemmeno da dove arriva il colpo, questa volta, ma siamo a quattro.
D’improvviso delle grida imperiose e tutto sembra fermarsi.
“Che succede?” chiede a un compagno che sta più avanti. “Dobbiamo fermarci per liberare il campo”.
In un attimo si è fatto un silenzio irreale. Nessuna freccia volteggia più in aria, nessun colpo di spada, nessun assalto, nessuna carica di cavalleria.
I soldati si sono messi a recuperare i cadaveri e ad ammucchiarli. Silenziosamente, e con rispetto, li raccolgono da terra e li portano nei luoghi di sepoltura. Towton 25 incrocia lo sguardo di un nemico, intento come lui, a portare via un compagno morto. E’ un ragazzo giovane, biondiccio, dall’aria simpatica. Lo guarda, mentre compie quel gesto di pietà. Adagiato a terra il corpo, il ragazzo si raccoglie in preghiera; e Towton 25 fa lo stesso. Recitano, insieme, la stessa preghiera, con le stesse parole, le stesse intenzioni. Quando i loro sguardi si incrociano di nuovo quel tizio gli sorride.
Quell’improviso gesto di cordiale affetto da parte del nemico riscalda il cuore di Towton 25, che lo ricambia. Il soldato trentacinquenne si sente rimesso al mondo da quel sorriso così inaspettato e gratuito. Subito però arriva l’ordine di ricominciare a combattere.
E riprende a menare fendenti, Towton 25, ovunque. Nella speranza di non colpire quel giovane biondiccio e dall’aria simpatica. Davanti cadono uno, due, tre nemici. Uomini come lui, solo con la rosa di un altro colore. Cinque. Anche stavolta in faccia, un gigante gli è quasi addosso ma lui lo infilza, cade in ginocchio, si rialza e ne ammazza un altro, e un altro ancora. Un colpo gli arriva in testa, il sangue gli affusca la vista. Siamo a sei. Vede di fronte a lui proprio quel giovane biondiccio e dall’aria simpatica, con la spada sguainata. Chiude gli occhi e si prepara a ricevere il colpo di grazia. Che non arriva. Apre gli occhi e il giovane è sparito.
Intorno a lui c’è una distesa di rose strappate: rose bianche, rose rosse fatte a pezzi, sanguinanti, con i petali sparsi ovunque, con le orbite senza gli occhi, le budella a spasso sull’erba, gambe e braccia mozzate. Fiumi di sangue scorrono sulla neve. Le bocche spalancate, lo sguardo disperato. Orrore senza fine.
Towton 25 continua ad avanzare menando fendenti: finisce su un ponte e cerca di spingere i nemici fuori. Mentre è impegnato a liberarsi dalla morsa di un nemico che vuole farlo cadere di sotto, in un attimo tutto si sbriciola. Il ponte crolla sotto i suoi piedi, non sa nemmeno lui come riesce a mettersi in salvo ma vede i suoi compagni e i suoi nemici precipitare nel vuoto. Vede annegarli in acqua o uccisi inermi dai nemici accorsi.
È il caos: alcuni abbandonano armi ed elmi e si danno alla fuga, inseguiti e massacrati.
La battaglia infuria da quasi dieci ore quando si sente un boato. Un suono mai udito prima. Il compagno al suo fianco cade a terra, colpito da una freccia invisibile, da una spada occulta. Towton 25 gli va incontro: “Che ti è successo?” gli dice. Ma l’amico lo guarda con gli occhi sbarrati, senza parlare. Un altro boato e un altro uomo a terra. Towton 25 prende a correre come una furia verso le linee nemiche menando fendenti a destra e a manca quando vede di fronte a lui un uomo imbracciare una canna di metallo, fumante. Un altro soldato ci infila dentro una sorta di spazzolone, poi della polvere nera e una palla di metallo. Mentre osserva quel singolare spettacolo un altro colpo lo raggiunge. E’ il settimo, e stavolta non ce la fa. Cade in ginocchio e il nemico di fronte a lui con l’ottavo colpo gli squarcia la testa.
Towton 25 crolla a terra senza un lamento e in un momento si rende conto che non gli basterà il tempo per chiedere perdono di ogni peccato. Capisce che la sua vita finirà oggi e che non tornerà mai a casa. L’ultimo pensiero è per la moglie che lo aspetta. L’ultimo pensiero è che avrebbe preferito morire di maggio, anziché andarci in inverno, dritto all’inferno.
Towton 25 sputa sangue, sputa i denti, sputa l’anima, sputa il suo nome che la storia dimenticherà. Quel milite ignoto è morto: la sua vita per una rosa.
La battaglia durerà tutta la notte, con i Lancaster in ritirata inseguiti dagli York.
Margerita d’Angiò, Enrico e il fidato Somerset riusciranno a mettersi in salvo ritirandosi a nord, verso la Scozia, mentre i Lord Lancaster che non sono stati uccisi o espatriati saranno costretti a firmare la pace con Edoardo IV.
Con il trionfo degli York, il vescovo Coppini diventa una celebrità in Inghilterra ma finisce per attirarsi l’inimicizia del re di Francia Luigi XI, che protesterà presso Pio II per l’intraprendenza del suo legato. Il papa, da parte sua, risponderà di non essere informato dei fatti. Ma richiamerà in Italia il vescovo di Terni e lo farà rinchiudere a Castel Sant’Angelo. Francesco verrà processato: confesserà di aver compiuto atti di simonia e di aver concesso ordini sacri, indulgenze e assoluzioni in cambio di denaro.
Destituito dalla carica e privato del sacerdozio, l’ex vescovo passerà i suoi ultimi anni nel monastero di San Paolo fuori del mura di Roma. Assumerà il nome di Ignazio e concluderà nel digiuno e nella penitenza la sua gloriosa e spregiudicata carriera. In Inghilterra la Guerra delle Rose si concluderà nel 1485, dopo trent’anni di lotte e di sangue, con la pace dei Tudor.
Arnaldo Casali